Con la sfida di ieri sera tra Tottenham e Ajax, è entrata davvero nel vivo la corsa alla conquista della Champions League, il massimo trofeo continentale per club, o più semplicemente quello che è ormai diventato il ‘sacro Graal’ per i massimi esponenti del football europeo, il trofeo che tutto vale e intorno al quale tutto si concentra, visto che ormai la differenza tra un club che ambisce ai quartieri nobili e uno che non riesce a togliersi dal pantano della media (mediocre) borghesia pallonara passa ormai praticamente in via esclusiva dalla possibilità di qualificarsi alla Champions e di accedere ai ricchi gettiti da essa garantiti, e pazienza se alla fine non si riesce ad alzare coppe al cielo anche per anni e anni. Sono rimaste in quattro a contendersi l’ambito trofeo dalle grandi orecchie, ma la domanda che è lecito farsi è la seguente: fino al fischio d’inizio del match di ieri sera, in quanti si erano accorti dell’appuntamento?

Ricadiamo sempre nel solito discorso: conclusa l’avventura delle squadre italiane nelle manifestazioni europee, queste ultime finiscono sempre più relegate negli spazi ridotti delle prime pagine dei quotidiani e dei servizi televisivi. A maggior ragione quest’anno, dove per qualcuno è stato forse più duro del normale lo shock dell’inopinata eliminazione della Juventus che sembrava la favorita numero uno soltanto per il faraonico, economicamente e non solo, arrivo di Cristiano Ronaldo, e che invece è uscita ai quarti presa a pallate dai giovani virgulti dell’Ajax di Erik ten Hag, capaci di compiere una strepitosa cavalcata nel torneo attraverso un concetto di base che dalle nostre parti si è tanto bravi ad evocare più che a praticare, specie quando va usato per criticare: quello del bel gioco, che non è per forza una roba da puristi o, per dirla con un termine in auge in queste ultime ore, da teorici. E allora, tra scene di mestizia, lacrime trattenute a stento in diretta e tentativi di esaltazione dei lancieri che però malcelano quelli di ammorbidire l’impatto del flop europeo di chi era partito tra mille proclami e certezze, si consuma un piccolo de profundis mediatico di questo torneo affascinante almeno fino a quando sventola la bandiera tricolore.

La realtà dei fatti è palese: il movimento calcistico italiano continua ad arrancare, e ancora non è dato capire quanto possa durare nel lungo termine l’avvento positivo di Roberto Mancini alla guida della Nazionale, ultimo, disperato appiglio di un sistema che ormai mostra crepe un po’ da tutte le parti e per il quale non si vedono ancora possibilità di cure efficaci e durevoli. Ma visto che in pochi pensano a sistemi efficaci per guarire, allora la ricetta da più parti adottata è quella di provare a dimenticare, a elaborare il lutto, a rifugiarsi nel classico provincialismo. E allora, andata in fumo la Champions di oggi, tanto parlare della Champions di domani, o meglio della corsa per strappare gli ultimi due visti per la prossima edizione, ultimo argomento di un certo spessore di un campionato che pochi spunti di interesse prometteva in partenza e pochi spunti di interesse reali ha mantenuto. E allora, ecco fiumi di inchiostro, di parole, di commenti, di tabelle, di calendari incrociati, per provare a capire chi la spunterà in questo gruppetto che parte dall’Inter terza in classifica e si allarga fino al Torino e alla Lazio, passando per l’Atalanta e la Roma.

Sì, in questa corsa c’è ancora l’Inter, anche semplicemente per un mero fatto aritmetico: la certezza della qualificazione ancora non è arrivata, ma la posizione di partenza degli uomini di Luciano Spalletti rimane alquanto privilegiata. Il tour de force casalingo contro tre delle squadre ai vertici della classifica, delle quali due dirette avversarie dei nerazzurri per l’obiettivo finale, si è concluso con tre pareggi e sensazioni nel complesso positive mescolate a qualche goccia di rammarico. L’ultimo match, quello contro i campioni d’Italia, ha offerto la conferma di un’Inter in salute ma ancora un po’ preda del ‘braccino’ che non le ha permesso di chiudere prima i conti contro una Juve apparsa sì un po’ pigra ma anche sorpresa dall’approccio veemente dei nerazzurri, almeno fino a quando ha preso le misure al match e ha iniziato a uscire allo scoperto. A quel punto, subìto anche il gol del pareggio, è entrata un po’ in funzione la logica del calcolo, della validità comunque elevata del punto incamerato.

Al di là dei precedenti storici che hanno visto l’Inter capace delle imprese più incredibili, in negativo e in positivo, la sensazione è che comunque ci vorrebbe davvero una scientificità clamorosa nel mettere a repentaglio un traguardo che ormai è davvero a portata di mano; già la sfida di sabato prossimo in casa dell’Udinese, nonostante le velleità di salvezza della formazione di Igor Tudor,  rappresenta il match ideale per mettere l’ultimo chiodo alla bara e affrontare poi con un po’ di sollievo in più le rimanenti tre gare, delle quali due interne contro Chievo ed Empoli. Il tutto però cercando di non prendere sottogamba la sfida della Dacia Arena, perché davvero a quel punto l’errore sarebbe di quelli imperdonabili: l’obiettivo deve essere quello di chiudere il prima possibile questo capitolo perché condizione necessaria per iniziare a pianificare davvero la prossima stagione, visto e considerato anche il fatto che già le voci sul presunto cambio di guida tecnica e soprattutto sui possibili nuovi acquisti e cessioni per il nuovo campionato sono già diventate pressanti e ingombranti.

La conferma del piazzamento Champions era l’obiettivo dichiarato pubblicamente a inizio stagione e tale obiettivo, a meno di cataclismi, è ormai a portata di mano. Sempre facendo uso di tutti i condizionali del caso, non essendo mai troppa la prudenza anche di fronte all’eloquenza, quella della prossima stagione dovrebbe essere la Champions dove l’Inter andrà a cercare un consolidamento, dopo l’ultima esperienza che era iniziata in gloria e che poi si è chiusa con troppo amaro in bocca. Un consolidamento che passa anche dalla ricerca sul mercato di elementi della giusta caratura, a completare come detto anche ieri quello che è il principio di gioco mostrato durante l’annata inserendo quel quid di qualità che può far fare la differenza a certi livelli.

Certo, lascia un po’ riflettere il fatto di dover parlare di consolidamenti, piazzamenti e miglioramenti come obiettivi massimi senza poter ambire, se non marginalmente o per clamorosi colpi di scena, a conquiste di trofei. Ma questo è lo stato dell’arte: al di là del lodevole lavoro della proprietà nell’ampliare la base economica e il fatturato, fattore fondamentale specie adesso che finalmente il settlement agreement sarà un lontano e spiacevole ricordo, ancora ampia è la forbice da colmare e non bastano di certo due anni per ridurla. Specie considerato che chi in Italia domina da anni poi paga dazio una volta superato il confine, dando la prospettiva di un’Italia destinata a rimanere ancora protagonista marginale sul palcoscenico continentale. E a poco serve giocare a prevedere la Champions che sarà l’anno prossimo o a parlare di quella che potrebbe essere dal 2024, se poi ci si dimentica che la Champions di quest’anno c’è ancora e garantisce ancora partite spettacolari. E provare a rimuovere solo perché poteva essere e non è stato non aiuta a correggere gli errori.

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Sezione: Editoriale / Data: Mer 01 maggio 2019 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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