Magari cerchiamo di smaltire le tossine della disgraziata trasferta in quel di Praga, un’altra perla da aggiungere al curriculum di calciatori che nella loro carriera hanno vinto poco o nulla. Vabbè, facciamo i bravi; qualcuno tra loro ha vinto qualcosa. Ma soltanto qualcuno. E soltanto qualcosa. Perché molti giocano con i colori del cielo e della notte addosso per grazia ricevuta. O, meglio: per uno strano incrocio del destino e degli astri. Capitati nel momento più basso della storia economica del club, beneficiati da contratti pluriennali - alcuni a cifre incomprensibili - e niente da fare, da qui non se ne vanno. Fornendo prestazioni come quella di giovedì sera, susseguente l’altra indimenticabile sfornata un paio di settimane prima, stadio Meazza, contro gli onesti pedatori dell’Hapoel. Insomma, una certa costanza non si può dire che non ci sia. Una sorta di continuità nei risultati esiste, inutile che alcuni guerrafondai scrivano o dicano che la squadra è ballerina. In Europa i nostri eroi riescono ad inanellare figure sportivamente oscene su figure ancora peggiori. Alla mercé di avversari che, sulla carta (e lasciamo perdere il tipo di carta, meglio non approfondire), dovrebbero essere abbordabili schierando non le seconde linee, ma la Primavera.
La storiella dell’allenatore cattivo che non comprende le esigenze del povero calciatore non regge più. Quello che mordeva le bottigliette è stato giubilato per manifesta sonnolenza sui gradoni del Meazza, quello che portava la sciarpa anche ad agosto è stato cacciato dopo liti da asilo Mariuccia con i fuoriclasse che animavano lo spogliatoio, e che fuoriclasse, oltre a discussioni da bar sport con l’ex dirigenza. Insomma, era stata fatta piazza pulita per permettere ai nostri eroi di rendere al meglio senza ingerenze di alcun genere. Soprattutto erano stati allontanati elementi che, secondo alcuni, destabilizzavano l’ambiente con le loro uscite provocatorie; oltre a rovinare presunti campioni schierandoli in ruoli che non gradivano. Poverini.
Certo, già detto e scritto ampiamente; si poteva e si doveva cambiare prima ma, poiché tornare indietro nel tempo non è ancora possibile stando a ciò che ci raccontano, inutile rimuginare su cosa si poteva o si doveva. Comunque sia sbarca a Milano Frank, rubicondo ragazzone olandese dai lineamenti tipicamente nord europei e dal passato glorioso come centrale di difesa suddiviso tra Ajax e Barcellona. Il quale stenta parecchio all’inizio, rimediando un paio di figuracce culminate con quella straordineria (direbbe qualcuno) rappresentazione di pochezza totale in una anonima serata di un giovedì di fine estate in zona San Siro, periferia nord-ovest del capoluogo lombardo, alla presenza di qualche decina di migliaia di spettatori, paganti oltretutto. Ma da lì, dalla raffica di critiche che seguì quella robaccia, allenatore e squadra trovarono spunti e stimoli, piegando la Juventus ben oltre il due a uno finale, assai bugiardo, passeggiando ad Empoli dove si era chiusa la pratica in venti minuti e, perché no, sfoderando una discreta prestazione anche con il Bologna, gara pareggiata immeritatamente sprecando perlomeno quattro palle gol enormi vuoi per stanchezza, vuoi per poca lucidità, vuoi per limiti tecnici che non si possono curare dall’oggi al domani. Tanto che, nonostante il risultato coi felsinei avesse lasciato parecchio amaro in bocca, i nerazzurri uscirono dal Meazza tra gli applausi convinti del pubblico. Lo so. Ero su quei gradoni anch’io.
Pertanto tutto ci si poteva aspettare giovedì scorso. Tutto fatta eccezione per l’ennesima oscenità che ci è stata propinata. Perché allora mi viene da pensare che i proclami, le dichiarazioni roboanti del pre-Praga, siano state semplicemente frasi a capocchia, buttate lì giusto per dire qualcosa e far riempire le due cartelle quotidiane al commentatore di turno. Io non conosco Frank, non mi bullo di essere suo amico inventando un rapporto che di fatto non esiste e quindi non so se il suo “vogliamo vincere l’Europa League” sia ad uso e consumo di non si capisce bene cosa. Ma credo di aver inquadrato il personaggio: uomo tutto di un pezzo, professionista serio, allenatore con idee avanti rispetto alla media dei suoi colleghi. Sta cercando di portare una mentalità nuova in un ambiente pieno di vecchiume; non si fa ritiro prima delle partite, ci si trova dopo la partita stessa. Si cerca di fare gruppo il più possibile. E, soprattutto, comando io e guai a trasgredire i miei ordini. Che detta così potrebbe suonare un po’ male, ma se ci pensate bene è più che corretta come regola. Perché l’allenatore è il primo a pagare, cosa che non rientra nel mio modo di pensare ma io conto come il due di picche a briscola quando comanda cuori; i calciatori devono essere messi di fronte alle loro responsabilità. Sennò è troppo facile. Nel fantastico mondo nel pallone sguazzano personaggi di ogni numero, genere e caso. Ma l’unico che paga è sempre e solo il tecnico. Atleti e procuratori sono abilissimi nel correre a chiedere aumenti e ritocchi, ancor più abilissimi (non è corretto grammaticalmente ma mi piace lo stesso) a nascondersi come gli struzzi appena nasano che le cose non girano più per il verso giusto o che l’idillio guida tecnica-società sta ai minimi storici.
Evidentemente, mi viene da pensare, c’è chi continua serenamente a farsi i fatti propri incurante del nuovo progetto Inter. Altrimenti, correggetemi se sbaglio, non si possono spiegare ragazzi che camminano per il campo senza arte né parte, fermi come belle statuine ad osservare gli avversari correre; non si può capire l’approccio insulso da parte di professionisti veri – pagati milioni di euro, puntualmente versati sui conti correnti – che portano la storia di un club sulle spalle, che dovrebbero essere onorati di vestire una maglietta riconoscibile e riconosciuta in ogni angolo del globo terracqueo, ottava per numero di tifosi al mondo e con in bacheca tutto quello che c’era da vincere. Davvero inconcepibile ridursi a fornire prove tanto incolori e sportivamente offensive per i propri supporters.
A me il comportamento della nuova proprietà, lo stare vicino all’allenatore e lo sposarne la linea difendendolo e schierandosi apertamente con lui, piace. Erano anni che ci speravo, memore di scenette al limite del ridicolo e situazioni che definire imbarazzanti è un insulto al termine imbarazzante stesso. La storia di Brozovic l’ho trovata esemplare, tanto che il messaggio mi sembrava fosse stato recepito appieno dalla squadra. L’unico a non averlo inteso bene, forse perché parla solo francese (e magari vai a farti un corso di italiano, il tuo allenatore è qui da un mese e parla meglio di te che guadagni il triplo e vivi a Milano da più di un anno ormai), è stato Kondogbia. Sostituito dopo neanche mezz’ora; lasciatemi aggiungere giustamente, visto il danno che stava procurando ai compagni ed ai tifosi. Evidentemente mi sono sbagliato. Evidentemente soltanto qualcuno ha capito cosa chiede e cosa vuole Frank. Uno su tutti, lo scrivo con piacere perché è stata la mia vittima preferita la scorsa estate, Mauro Icardi. Ecco, venti minuti di Maurito giovedì sera sono valsi più dei novanta che molti altri hanno trascorso filando la lana invece di correre dietro ad un pallone, cosa per la quale sarebbero stipendiati.
E qui Zhang deve intervenire. Non sta a me suggerire come, ma qualcosa deve essere assolutamente fatta; non è pensabile che prestazioni che travalicano la frontiera dell’indecenza passino in cavalleria. Non è rispettoso nei confronti di molti tifosi che hanno seguito la squadra fino a Praga, qualcuno probabilmente facendo anche sacrifici, passando certamente un paio di giorni in una delle più belle città al mondo e venendo ripagati con uno spettacolo di bassissima lega per non dire di terz’ordine.
A me le faccine sorridenti da pubblicità di un noto mulino non interessano; e non mi frega nulla di sapere che siamo una grande famiglia dove tutti si amano perdutamente. L’ultimo alito di grande Inter, quella del 1970, annoverava fior di campioni alcuni dei quali manco si parlavano fuori dal campo. Ma sul terreno di gioco l’obiettivo era uno ed uno solo. E potremmo citare anche l’Inter del Trap, che ho avuto il piacere e la fortuna di seguire in quella fantastica avventura. Mica si volevano tutti bene e si facevano i regalini. Però, quando l’arbitro fischiava, l’orchestra rispondeva presente in tutti i suoi elementi. Perché questo significa essere professionisti; rispettare i compagni di squadra e la gente che paga per vedere uno spettacolo. Poi si può vincere o perdere, chi mi legge di solito sa benissimo come la penso a tal proposito. Ma l’impegno e la serietà non possono e non devono mancare. E, vivaddio, anche un pizzico d’amor proprio; che va bene, abbiamo capito che avete un sacco di soldi, ma un filo d’orgoglio non ci sta male di tanto in tanto.
Caro Frank, ti aspetta un lavoro complicato; cercare di restituire al calcio qualcuno degli interpreti del triste spettacolo di giovedì sera e liberarti di molti altri. Dopo la prima di EL la squadra reagì con la mentalità e la grinta giuste. Stasera si va in casa di Francesco Totti, fresco quarantenne di belle speranze. Gli auguri vediamo di farli dopo la partita e non sul campo. Perché il popolo nerazzurro si aspetta una reazione, un cenno di vita, un discostarsi da ciò che è stato poche sere fa.
Amatela, sempre.
E buona domenica a Voi!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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