Lunga e interessante intervista della Gazzetta dello Sport a Thiago Motta, uno degli eroi del Triplete nerazzurro. Ecco qualche passaggio.
Nessuna nostalgia e nessun rimpianto della vita da calciatore?
"No, nessuno. Ho vissuto alla grande, ho vinto scudetti e Champions, sono stato in grandi città, Barcellona, Madrid, Milano, Parigi, ho conosciuto e imparato tanto. Mi ricordo l’ultima partita al Parco dei Principi, la celebrazione, il saluto, le lacrime. Neanche il tempo di asciugarle ed ero a Coverciano, per la seconda parte della mia carriera".
Allora mister Motta si presenti: qual è la sua filosofia di calcio?
"Offensiva, d’attacco. Una squadra corta, che imponga il gioco, pressi alta, sappia muoversi insieme, con e senza palla, affinché ogni giocatore abbia sempre tre-quattro soluzioni e un paio di compagni vicino pronti ad aiutarlo. Il difficile nel calcio spesso è fare le cose semplici: controllo, passaggio, smarcamento. Non amo i numeri legati ai moduli, possono essere bugiardi. Il calcio non è il biliardino: conta il movimento. Puoi essere super offensivo con il 5-3-2 e difensivo con il 4-3-3. Dipende dalle qualità degli uomini e dall’atteggiamento. Ho visto un fenomeno come Eto’o fare anche il terzino, dando un esempio che fu il segreto dell’Inter del Triplete. In una recente partita i miei due laterali erano ragazzi che lo scorso anno portavano il numero 9 e il 10 sulle spalle... Ciò non significa che non vorrei avere in squadra gente come Samuel o Chiellini, difensori nati".
Qual è la squadra che oggi fa meglio tutto questo?
"Il City di Guardiola. Contro il Manchester United hanno fatto un gol dopo 44 passaggi. L’ho fatto vedere ai miei ragazzi. Noi contro il Napoli in Youth League abbiamo segnato dopo 16... siamo ancora molto indietro (sorride, ndr)".
Anche il Barcellona visto contro l’Inter in Champions League per gioco corale e pressing non scherza.
"Il Barcellona ti sfianca col possesso e quando tu fai ripartire l’azione ti toglie l’aria. Sa qual è stata la partita in cui ho sofferto di più? Nel 2010 la seconda sfida contro il Barcellona quando perdemmo 2-0. Non c’erano Messi e Ibra eppure non ce la fecero vedere mai. Mille tocchi, nessuno banale. Alla fine della partita non sapevamo neanche di che colore fosse il pallone. Correre a vuoto ti fa uscire di testa e ti svuota i muscoli".
Ma per riuscire a giocare così c’è bisogno di 11 fenomeni?
"No, conta l’idea di calcio e la capacità che hai di trasmetterla. Se ci riesci anche chi non è un top player può farlo. Ho visto squadre piccole giocare un grande calcio".
Chi è oggi il tecnico migliore?
"Guardiola, è il re del gioco. Ma ammiro molto Zidane".
Tra i tecnici che lei ha avuto invece chi...
"Non la faccio neanche finire: Ancelotti è stato il top. Conoscenza del calcio impressionante, gestione perfetta dello spogliatoio, preparazione delle partite, psicologia e rapporti umani. Carlo è unico, si conquista il rispetto di tutti con la sua normalità".
Ha già citato tre allenatori e ancora non ha nominato Mourinho.
"Un vincente. Nel senso che lui in testa ha solo un obiettivo: vincere. Non gli interessa lo spettacolo. Mourinho ha due facce: una felice quando vince, una incazzata quando perde. Il suo umore cambia in base al risultato. Se hai giocato bene, ma hai perso, lui non riesce a trovarci niente di positivo. Mentre se vince giocando malissimo è felicissimo. La partita di Mourinho si gioca nelle due aree. La sua in cui devi morire pur di non far segnare l’avversario e quella avversaria in cui devi affondarlo. Il centrocampo è un fastidioso percorso tra due campi di battaglia. Se viene saltato, meglio: il tiqui taca non gli appartiene. Mou non cerca il bello, cerca un nemico, se non ce l’ha lo crea. Con l’Inter avevamo 11 punti di vantaggio in campionato, perdemmo una partita e ne pareggiammo un’altra. Il lunedì fece una conferenza, parlò 15 minuti di fila attaccando tutti: Galliani, il Milan, la Roma, gli arbitri, la Juve... Doveva ricaricare l’ambiente".
Quanto fu difficile gestire quell’Inter piena di campioni?
"Lo sarebbe stato per molti, ma per lui fu facilissimo. Mou ama la gente di personalità e quell’Inter ne aveva in quantità industriale. “Se vado in guerra mi porto Lucio”, disse una volta. Aveva ragione. Quando vedevo Lucio al mattino capivo subito se era il caso di salutarlo o lasciarlo stare. Lui e Samuel in allenamento erano tranquilli, in partita diventavano due bestie feroci. Ma anche Cordoba non scherzava. Poi c’era Eto’o, un leader vero, Maicon con una personalità enorme, Sneijder che fu preso la sera prima del derby e il giorno dopo fu il migliore in campo".
Si dice che la forza di Mou sia convincere i giocatori a morire per lui.
"Non è esattamente così. La forza di Josè è convincerti a morire per il tuo compagno e per la squadra, non per lui".
L’Inter del Triplete è la squadra migliore in cui ha giocato?
"Era fortissima, poteva e doveva durare un paio di anni dopo il Triplete. Ma ce ne sono state altre. Giocare nel Barcellona a centrocampo con Xavi, Iniesta e Deco è stato un godimento. Ma io stravedevo per il Psg del 2016 con Blanc in panchina: con Ibra, Thiago Silva, Lavezzi, Cavani. Un gruppo di pazzi, una sporca dozzina. Fummo eliminati dal City, ma potevamo vincere la Champions".
Le piace Klopp?
"Sì, tantissimo. Mi piace la sua passione e come ha convinto giocatori come Mané a fare un grande lavoro per la squadra. Un po’ come faceva Eto’o".
Klopp allora è un Mourinho 2.0?
"Compararsi a Mourinho non fa bene a nessuno, neanche a Klopp... Ma lui fa parte dei tecnici che ti convincono. Come Gasperini che è stato la mia fortuna al Genoa, e oggi fa brillare l’Atalanta. Spero abbia un’altra chance di allenare una grande squadra. Sarei molto curioso".
Chi è la favorita per la Champions?
"Cinque squadre: il Barcellona, il Real di Solari, il City che è la squadra che gioca meglio, il Psg e poi la Juve di Ronaldo. In finale la Juve c’era già arrivata. Gli serviva il giocatore che le finali le decide e le fa vincere. Lo ha preso".
Nessuna sorpresa?
"La Roma la scorsa stagione ha dimostrato che tutto può accadere. L’Inter può essere la valvola impazzita quest’anno. Nella doppia sfida molto dipende dagli infortuni, il momento, il sorteggio se ti dà una mano… Dai quarti fino alla finale: l’Inter non deve porsi limiti. Ma resta una sorpresa e non credo possa vincere".
Neanche il campionato?
"No, non è ancora pronta. Ma la Juve non deve diventare una scusa per le altre: non vincerà per sempre. Nessuno lo fa. Smetterà. E credo che sarà l’Inter a interrompere questa monarchia".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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