Baciano le maglie, rilasciano dichiarazioni d’amore, tifano per questa o quella squadra fin da bambini salvo poi rimangiarsi tutto in pochi istanti per sposare, a suon di milioni, progetti e colori anche contrapposti a quelli esaltati all’estremo soltanto il giorno precedente. In tanti li chiamano traditori, spesso si parla di mercenari, per pochi sono dei professionisti ma, in realtà, sono semplicemente calciatori.
Lucio, Ibrahimovic, Thiago Silva sono solo gli ultimi esempi di come tutti questi appellativi possano rappresentare, nello stesso momento, un singolo individuo. Come Kakà e Shevchenko, passando per Vieri e Ronaldo e senza andare a ripescare i vari Baggio, Altafini, Anastasi e Meazza, il mondo del pallone è pieno di passaggi discussi e celebrati che hanno armato di gioia e disperazione – per di più sugli spalti a suon di sfottò – le più svariate tifoserie.
Partendo dal principio, c’è da sottolineare come il professionismo vero – “inventato” nei paesi anglofili e sviluppato all’inverosimile dalle Major Leagues americane – è tremendamente differente dal concetto di professionismo inserito nell’ormai datata legge del ’96 che regolamenta società ed atleti affiliati al CONI. Nelle quattro grandi leghe dello sport professionistico americano, infatti, il principio cardine è la vendibilità del prodotto: non esistono federazioni nazionali legate allo stato centrale; non esistono lotte di potere di società con bacini di utenza maggiori rispetto ad altre; non esistono forzature nelle rotture dei contratti stipulati fra gli atleti e le società che, al contrario, sono libere di “muovere” le proprie pedine per assicurare alla Lega introiti maggiori.
In sostanza definire i calciatori che militano nei campionati europei come professionisti è una piccola ma significativa falsità, poiché il professionismo vero, semplicemente, non permetterebbe mai il presentarsi o il fiorire al proprio interno di casi emblematici come quelli di Muntari, di Ibrahimovic e precedenti e successivi compagni di ventura.
Ma quindi se non sono dei professionisti, questi calciatori che cosa sono?
Sarò diretto: fatta eccezione per pochi “eletti” (le cosiddette bandiere) che, al di la del compenso economico, hanno trovato e scelto la stabilità dell’essere dei soldati d’élite, tutti gli altri non sono altro che semplici mercenari, ma badate bene, nel senso più antico del termine. Per evitare qualsivoglia incomprensione, nei paesi anglosassoni i cosiddetti mercenari vengono ormai chiamati CONTRACTORS; il Contractor, infatti, è un personaggio che compie azioni seguendo un contratto ben stabilito per conto di un privato o di una società e questo è, verosimilmente, il termine che più si avvicina a quello che sono i calciatori nel mondo pallonaro italiano e non solo.
Venendo ai colori nerazzurri, quindi, il caso di Lucio che tanto ha animato le discussioni su forum, radio e social networks è l’emblema di come il contractor sia la tipologia di calciatore più radicata nel nostro campionato. Lucio ha festeggiato trofei e vittorie importanti con la maglia della beneamata, cantando ed animando le feste in piazza Duomo per le conquiste di Champions League, coppe Italia e, udite udite, perfino scudetti. Nessuno mette in discussione la veridicità di quelle manifestazioni di gioia bensì, semplicemente, rimangono legate non alla persona di Lucimar Ferreira da Silva, bensì al suo contratto. Lucio era fino al 4 luglio un giocatore vincolato da una firma su un pezzo di carta alla mentalità, sportiva e non, del mondo Inter; firmando il contratto juventino, quindi, Lucio non ha fatto altro che voltare pagina, lasciandosi alle spalle i tre anni passati in nerazzurro, per abbracciare al 100% il mondo lavorativo bianconero.
In una stagione che si prospetta di profondi cambiamenti, non solo all’interno della società e della squadra, ma anche a livello di mentalità, il mio auspicio è che lo sia anche (e soprattutto) per i tifosi nerazzurri. Nessuno può pretendere che i lavoratori di questo calcio mostrino davanti ai media la riconoscenza per coloro che per anni e anni li hanno osannati e idolatrati. Un grazie spesso è più complicato da pronunciare rispetto all’aderire concettualmente ad un foglio stampato corredato da due firme. I giocatori ci esaltano, lasciano il segno, ci tradiscono e, in diverse occasioni ci umiliano, eppure i colori nerazzurri rimangono sempre al di sopra di tutto, impressi nella nostra ma, ne sono certo, anche nella loro memoria.
“Mi hanno detto che in tutti questi anni ho servito 5 presidenti dell’Inter…beh non è esatto, io ho cercato di servire sempre e soltanto L’INTER!” Peppino Prisco – sempre lui – l’aveva capito già qualche decennio fa. Ognuno è libero di scegliere e di aggrapparsi alla visione romantica del calciatore simbolo dei colori che rappresenta, ma per me, oramai, c’è solo l’Inter!
Twitter @TramacEma
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