Intervistato dal Corriere dello Sport, Francesco Le Foche, medico immunologo, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del policlinico Umberto I di Roma, offre spunti di riflessione interessanti sull'emergenza coronavirus. 

La diffusione enorme del virus a Bergamo e provincia e il tasso unico di letalità. Niente certezze. Ipotesi? 
"Probabilmente in quel distretto hanno agito più fattori trigger, i catalizzatori che attivano in modo repentino la diffusione del virus, facendolo esplodere in tutta la sua gravità. Un paio su tutti. Quella bergamasca è un’area molto attiva nel mondo degli scambi economici e sociali. Un terreno ideale per il virus. Secondo fattore, parliamo antropologicamente di gente da sempre molto operosa, spartana, con una grande cultura del lavoro e una tendenza a sottovalutare e dunque trascurare malesseri che sembrano di stagione. Aggiungiamo i comportamenti che, specie nei primi giorni, non hanno certo aiutato lo stop del virus". 
 
Un esempio? Da Valencia arrivano espliciti riferimenti alla partita di San Siro del 19 febbraio, l’Atalanta-Valencia andata di Champions. 
"Uno di questi episodi, tra i più eclatanti, potrebbe essere stato proprio quello. L’apice in termini di euforia collettiva di una stagione calcistica unica nella storia del club". 
 
Siamo al paradosso assoluto: il contagio positivo della festa e dell’entusiasmo potrebbe aver favorito il contagio negativo del virus e dunque della depressione e del lutto? 
"Ci sta. È passato un mese da quella partita. I tempi sono pertinenti. L’aggregazione di migliaia di persone, due centimetri l’una dall’altra, ancor più associate nelle comprensibili manifestazioni di euforia, urla, abbracci, possono aver favorito la replicazione virale". 
 
Che intende per “favorito”? 
"Intendo un’espulsione di quantità di particelle virali molto alta e a grande velocità dalle prime vie aree, bocca e naso. Stiamo parlando dell’enfasi collettiva di una partita storica, con molti gol. L’afflato di una tifoseria appassionata come poche. Devo immaginare che a quella partita siano andati quasi tutti, inclusi probabilmente asintomatici e febbricitanti". 
 
Sta dicendo che potrebbe essere una delle concause dell’anomalia Bergamo? 
"Potrebbe essere". 
 
Una follia giocarla a porte aperte quella partita con il senno di poi? 
"Ha detto bene, col senno di poi. All’epoca troppe cose non erano ancora chiare, a cominciare dall’enorme diffusibilità di questo virus. Oggi sarebbe impensabile. Infatti, hanno bloccato tutto". 
 
Riprendere a giugno è realistico? 
"Dubito molto fortemente. Un contesto così socialmente aggregante ed empatico come il calcio è l’antitesi dei comportamenti che si devono avere nell’emergenza sociale di un virus. Una minaccia per definizione". 
 
Il rischio è il collasso del sistema. Riprendere a porte chiuse per evitarlo? 
"Potrebbe essere una soluzione". 

La lezione sarà recepita? 
"Mi auguro di sì. Sono certo che il politico di domani non può comportarsi come il politico di oggi. La gente non glielo permetterà". 
 
Possiamo dire che questo flagello inatteso sia stato, in qualche modo, un allarme rosso per l’umanità intera, la risposta del suo sistema immunitario? 
"Ha detto bene. Dobbiamo viverlo così. Come un incidente fecondo". 

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Sezione: Rassegna / Data: Gio 19 marzo 2020 alle 09:38 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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