Diciamoci la verità: Erick Thohir sembra saperne una più del diavolo. A suon di dichiarazioni provenienti dalla sua terra natale, il nuovo proprietario dell’Inter sta togliendo gli ultimi, residui dubbi circa la sua effettiva competenza e conoscenza del mondo nerazzurro e del calcio italiano ed europeo in generale, facendo capire che non è uno sprovveduto o magari uno di quelli che, secondo felice definizione di tempi passati, potrebbe essere facilmente catalogato come ‘ricco scemo’. No, Thohir si presenta decisamente come un dritto, uno che sa il fatto suo e sa anche come farlo valere. In questa settimana Erick ha rilanciato le sue ambizioni, spiegando perché alla fine ha scelto l’Italia e l’Inter, club “dalla grande storia e dal nome e dal futuro importante” (con buona pace del pur degno di ogni stima West Ham), e vedendo nel nostro campionato orizzonti di gloria che forse nemmeno il più ottimista degli addetti ai lavori italiani immaginerebbe, vedendo lo stato di salute del nostro pallone. Semplice illusione? O magari voglia di portare una ventata di novità?

No, Thohir non è uno sprovveduto, e lo ha fatto capire anche quando ha parlato a proposito dell’organico della sua nuova creatura. Organico che va rinforzato soprattutto sulle corsie esterne, e questo è un ragionamento che non fa una grinza perché Jonathan e Yuto Nagatomo, pur avendo sin qui fatto un lavoro egregio, hanno comunque bisogno di gente che li protegga adeguatamente e al momento né Alvaro Pereira, ormai quasi ‘desaparecido’, né il piccolo Wallace sembrano fornire garanzie sufficienti.  E non è nemmeno un ‘pirla’, tanto per usare una frase di mourinhana memoria: perché ha colto anche l’occasione per rilanciare sul nome di Nicola Ventola indicato come giocatore preferito dell’Inter, che qualche ironia di troppo aveva suscitato. Sostenendo le sue ragioni ed evidenziando il fatto che Ventola in nerazzurro ha avuto una carriera frenata dagli infortuni, e infine alzando la posta col nome di un altro talento mai sbocciato del tutto all’Inter come Obafemi Martins.

Insomma, l’allievo Erick Thohir si è applicato a dovere per presentarsi al meglio il giorno dell’esame: che con ogni probabilità avrà luogo il 15 novembre, giorno in cui si insedierà ufficialmente insieme ai suoi scudieri Handy Soetedjo e Rosan Roeslani in qualità di nuovo membro del Consiglio d’Amministrazione della società nerazzurra. E lì sono attese le sue prime parole ufficiali da nuovo patron dell’Inter; ma nel frattempo, Thohir ha deciso di brillare nel test d’ingresso, facendo capire sin da subito le sue intenzioni. Che non sono solo quelle legate alla crescita e alla riaffermazione a grandi livelli della squadra, ma anche e soprattutto quelle legate all’espansione del brand, un marchio pregno di valori da espandere in tutto il mondo.

Magari approfittando anche delle sue innate abilità di comunicatore: in questo senso va letta la consegna della maglia nerazzurra ad un campione della Nba degli ultimi anni come Allen Iverson, stella dei suoi Philadelphia 76ers negli anni ’90 e Duemila. In parecchi hanno storto il naso di fronte a quella maglia nerazzurra col numero 3, interpretata quasi come un sacrilegio verso Giacinto Facchetti; ma magari un giorno The Answer dirà di essere onorato di aver avuto lo stesso numero di un giocatore di calcio leggendario e dal suo punto di vista Thohir avrà fatto bingo.

Già, il basket, la grande, vera passione di Erick Thohir. Il suo business sportivo gira principalmente intorno alla palla a spicchi, visto che possiede due club in patria ed è presidente della  Federbasket indonesiana nonché della federazione pallacanestro del Sud-Est asiatico. Col basket è iniziato il suo approdo anche nel mondo dello sport statunitense, anche se ora sta procedendo a vendere le sue quote dei Philadelphia 76ers, i quali comunque hanno iniziato alla grande la stagione Nba, battendo i campioni in carica dei Miami Heat, dopo aver trovato un fuoriclasse come Michael Carter-Williams, già candidato al ruolo di rookie (debuttante) dell’anno da Earvin Magic Johnson, non uno qualsiasi.

Mi capita spesso di fantasticare, da tifoso dell’Olimpia Milano e più in generale da appassionato di basket (ma chissà, potrei fare di più), cosa sarebbe successo se Thohir anziché l’Inter avesse comprato la squadra meneghina di pallacanestro. Per esempio, che giocatori della delle scarpette rosse storia avrebbe amato? Magari, se tanto mi dà tanto, non citerebbe i grandi fuoriclasse come Mike D’Antoni, Dino Meneghin, Bob McAdoo, Dejan Bodiroga, Sale Djordjevic o David Moss, proprio perché ‘son tutti buoni’ a dire questi nomi; ma direbbe di amare i giovani talenti come, giusto per citare quelli attuali, Nicolò Melli e Alessandro Gentile, o piuttosto i lottatori, gente che per la maglia ha dato l’anima, magari nomi come Roberto Premier, i gemelli Boselli, Flavio Portaluppi, Alessandro De Pol (che personalmente ho davvero adorato), Diego Fajardo; e mi perdonino  gli altri tifosi biancorossi se dimentico qualcuno (suggerite, se volete).

Poi, però, ritorno serio pensando che Thohir per le mani potrebbe davvero avere una  grande occasione per rilanciare un concetto in Italia. L’idea è nata dalla penna di Oscar Eleni, storica firma del basket italiano: perché Erick Thohir non pensa davvero, a lungo termine, a fare dell’Inter una polisportiva? Anzi, a rifare, visto che in epoche remote il nome Inter figurava anche in altri campionati come rugby, hockey su ghiaccio e anche pallacanestro (con campionato vinto nel 1923)? Sarebbe un’esperienza che in Italia manca, che avvicinerebbe in un certo modo il club a nomi come Barcellona, Real Madrid e Bayern Monaco.

Vero, esiste un precedente legato alla Polisportiva Mediolanum creata da Silvio Berlusconi, che conquistò anche qualche trofeo ma alla fine chiuse i battenti per restrizione del budget, interesse basso dei tifosi, ma anche per la mancanza di una struttura base, di una vera e propria anima sportiva sacrificata per il mero principio economico. A Thohir ambizioni, budget e competenze, da quanto si è capito, non mancano. Potrebbe anche portare il suo management di fiducia e soprattutto cominciare un progetto solido partendo dalle basi e dedicandosi anche qui all’attività giovanile, parallelamente espandendo anche su un’altra asse il marchio nerazzurro. Anche questo in nome del concetto  di ‘think glocal’ del quale ha fatto una vera e propria filosofia. E allora, riecco la domanda: perché no?

Sezione: La Rubrica / Data: Dom 03 novembre 2013 alle 00:30
Autore: Christian Liotta
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