Un anno fa di questi tempi Antonio Conte beveva ancora ettolitri di camomilla rimuginando sulla gara del Camp Nou che aveva regalato la prima vera anteprima di un'Inter dalle grandi potenzialità capace di esprimersi però soltanto fino ad un certo punto. A Barcellona i piccoletti Lautaro, Barella, Sensi e Sanchez avevano regalato al tecnico salentino una gioia dalla quale ripartire oltre il risultato, offrendogli l'assaggio di un piatto che solo pochi giorni dopo però sarebbe andato fuori menù. Nei giorni seguenti due su quattro dei migliori in campo in terra catalana andavano fuori uso, non potendone più usufruire per quasi tutto il resto di una stagione che qualche mese più tardi sarebbe diventata la più tormentata della storia. La noche spagnola però restava ben scolpita nella testa di Antonio, pure a Dortmund, dove oltre a dover rinunciare a Sanchez e Sensi, dovette rinunciare anche alla qualificazione, svanita sotto i colpi di un indemoniato Achraf Hakimi che a distanza di un anno si è trasformato da problema a soluzione. Fu proprio in terra tedesca, ingenerosa fino alla fine, che il leccese aveva mostrato i primi segni di disappunto sbottando pubblicamente come un fiume in piena mettendo nel mirino dirigenza e società, ree di non aver puntellato fino in fondo una squadra dalle grandi potenzialità ma imbrigliate nell'inesperienza e nella coperta corta. Un'uscita che trovò la sua ricaduta al triplice fischio di Atalanta-Inter l'1 agosto, quando malgrado i tre punti che posizionavano l'Inter al secondo posto in classifica (a -1 dalla capolista) Conte rincarò la dose di rabbia latente come monito in vista di un mercato oculatamente autarchico.
Da allora è storia e le dichiarazioni di Bergamo sembrano essere memorie di un'epoca abbondantemente superata. L'arrivo di Hakimi, Kolarov e Vidal, la permanenza di Lautaro, il ritorno di Perisic, il riscatto di Sanchez e Sensi, hanno regalato a Conte un mix tra freschezza ed esperienza che largheggia serenità che acquieta gli animi persino tra le fitte maglie di un calendario zippato. Sentimento inaudito da quando l'ex ct della Nazionale siede sulla panca nerazzurra che, corroborato dai due risultati finora ottenuti, fa ben sperare in ottica scudetto e persino Champions, nonostante un girone da non sottovalutare. Le prestazioni contro Fiorentina e Benevento hanno fruttato sei punti che significano parecchio, al di là della classifica ad oggi troppo acerba per essere disaminata a differenza di quanto visto in campo. Poker e manita, rispettivamente contro Fiorentina e Benevento: nove reti all'attivo nelle prime due partite a fronte delle cinque subite, un gioco frizzante e mai domo, spensierato, divertente e finalmente libero dal nevrotico imbottigliamento mentale che nella passata stagione spesso attanagliava lucidità e manovra. Pericolo stanato con la scelta di puntare su giocatori quali Kolarov e Vidal, esperti nel gestire risultato a gara in corso e tenuta mentale, una certezza che distende l’animo di Conte che non teme più improvvisi ribaltamenti di gara e inaspettate sorprese, quali quelle dello scorso anno, al punto da godersi i novanta minuti persino più del triplice fischio e del +3.
"Le grandi squadre hanno bisogno di avere una propria mentalità e fisionomia sempre. L'avversario deve essere studiato e rispettato, ma senza paura. E' giusto andare avanti anche se ci fossero eventualmente delle battute a vuoto, continuando a fare quello per cui stiamo lavorando" come testimonial di quella nuova dottrina sposata da Antonio Conte: andare avanti anche oltre le eventuali battute battute a vuoto, godersi il viaggio in vista della meta, andando oltre la meta stessa. Gioire del divertimento: e allora possesso ma rispetto dell’avversario, slancio offensivo ma anche contenimento e gestione, pressione e verticalismo, automatismi tra reparti che confluiscono in una fluidità di manovra che fa sorridere persino Conte ai microfoni. Durante i post, ma anche durante i pre. Ad un anno dall’istrionica conferenza alla vigilia di Inter-Juventus, durante la quale, stizzito, Conte lasciò la sala stampa, non ci casca più soffocando ogni spunto che possa innescare ogni tipo di polemica. Sorridente e sereno mentre pronuncia quel “bisognerà fare molta attenzione”, con la Lazio di Inzaghi e con le parole di Antonio, specchio di una metamorfosi non solo strettamente tattica che ricorda quella notte del Camp Nou, dove il risultato obnubilò la "la bellezza del gioco o l'organizzazione" in Italia apprezzati meno che in Spagna.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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