Arcigno difensore. Uomo con gli attributi. Tanto aggressivo e deciso in campo, quanto calmo e pacato fuori dalla cancha. Nicolás Burdisso è entrato di diritto nel cuore di tutte le squadre per le quali ha militato. D’altra parte non si indossa a caso la fascia di capitano di compagini così importanti se non sei un leader nato.
E in esclusiva per FcInterNews.it, il giocatore di Altos de Chipión, tra ricordi, opinioni, aneddoti e un presente in divenire, si racconta a 360°.
Lei in questo momento è svincolato. Vuole proseguire la carriera da atleta professionista o è pronto per appendere gli scarpini al chiodo?
“Adesso sono in un periodo di transizione. Mi sono allenato e ho aspettato la fine del mercato rifiutando tante proposte ricevute. Il discorso non è solamente giocare. Ma sentire lo stimolo giusto e trovare la piazza pronta a trasmettermi questa motivazione. Ho parlato con varie società importanti ma alla fine non si è potuto concludere”.
In una vecchia intervista disse che “dopo il calcio avrebbe voluto fare l’uomo. Come Facchetti”. Che cosa intendeva?
“Si tratta di una dichiarazione più semplice di quanto possa sembrare. Quando succederà, non mi inventerò nulla. Farò le cose che sarò in grado di fare. Io sono un calciatore. Da quando sono bambino vivo per questa professione. Quando smetterò, verrà fuori la mia personalità al di fuori del rettangolo verde di gioco. Emergeranno persona e uomo”.
E la figura di riferimento può essere proprio quella di Facchetti?
“Senza dubbio. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e credo possa essere considerato da tutti, non solo dagli interisti ma da ogni appassionato di sport, un esempio da seguire”.
A proposito di uomini, l’accordo tra lei e Moratti durante la malattia di sua figlia dimostra come nel vostro mondo non tutti pensino solo ai soldi…
“Massimo Moratti non lo scopro io. È stato un grandissimo Presidente ma soprattutto è una grandissima persona. Di un’umiltà incredibile. Bisogna anche dire che nel calcio c’è gente così. Io ho trovato Moratti. E lui, così come altri, al di là dei soldi e del potere, è di una semplicità e di un modo di fare unici”.
Tra l’altro, e per fortuna, sua figlia ora è guarita.
“Grazie a Dio, sì. È stato un periodo combattuto ma siamo arrivati al lieto fine. Ha 15 anni e sta bene”.
Quali sono i suoi ricordi legati all’Inter?
“Quelli dell’élite calcistica. Anche al Boca Juniors, che è un’altra squadra di livello mondiale, avevo vinto tanto. Ma con i nerazzurri parliamo del gotha del football europeo. Penso agli scudetti vinti, alle battaglie in Champions, ai trofei come Coppa Italia o Supercoppa. Vincere con quella maglia significa tanto soprattutto perché a quei tempi la Beneamata faticava a conquistare titoli. Si è trattato di un cambio di mentalità decisivo”.
A proposito di questo, lei più volte ha ricordato cosa fosse successo con Calciopoli.
“Si tratta del brutto del calcio italiano. Il discorso è questo: è stato fatto un processo che ha emesso delle sentenze. E l’Inter subito dopo ha potuto fare un qualcosa che prima non riusciva a conseguire, cioè vincere. Io quando vivevo in Argentina leggevo le formazioni, tutte di livello assoluto, mi chiedevo come fosse possibile che non arrivassero i risultati. Poi ecco la spiegazione. Molto chiara. È stato individuato il problema insieme ai meccanismi che lo regolavano e il campionato è tornato ad essere molto più credibile”.
Oggi si può dire lo stesso? Anche perché c’è il Var.
“Sicuramente”.
Tra le sue partite all’Inter c’è pure quella di Valencia quando in modo vigliacco le tirarono un pugno da dietro le spalle. E poi fu bagarre. Un episodio spiacevole, che però dimostrò anche, seppur con atteggiamenti sbagliati, l’unione del gruppo.
“Quel pugno scatenò la rabbia di tutti. In quegli anni eravamo davvero una squadra unita. Lottavano verso l’obiettivo comune. E appena arrivato in nerazzurro forse è proprio questo quello che mi colpì maggiormente. Tanti giocatori di nazionalità diverse che remavano senza distinzioni dalla stessa parte. Peccato poi perché contro il Valencia siamo usciti con due pareggi. In quell’annata saremmo potuti arrivare molto più avanti”.
Sente ancora qualcuno di quella squadra?
“Tutti gli argentini, Toldo, Stankovic, Grosso, Mancini. E altri. Difficile dimenticare quando hai condiviso lo spogliatoio e le vittorie con campioni di queste calibro”.
A proposito del mister, qualche lite c’era stata…
“Sì, in Italia ci sono meccanismi e reazioni diverse. L’importante è non superare mai la linea del rispetto. E questo non è mai successo. Anzi, è stato lui, il Mancio, a portarmi in Italia e a darmi fiducia. Ha amalgamato alla grande l’Inter e l’ha fatta diventare una squadra di successo. Parliamo di un vincente”.
C’è un difensore attuale del Biscione che la ricorda?
“Mi potrei paragonare ai centrali nerazzurri. Anche se io a Milano ero un jolly e venivo schierato pure come terzino o come centrocampista. Per questo non scarterei D’Ambrosio. E sulla difesa odierna che dire? Skriniar è fortissimo, mi piace come approccia la partita. De Vrij è un giocatore importante, Miranda lo conosciamo tutti e anche Ranocchia ha qualità. Diciamo che in quel settore l’Inter è messa proprio bene. Con dei campioni”.
Difesa a tre o a quattro?
“Dipende dalla partita. Anche i terzini sono bravi. E Spalletti sicuramente è in grado di prendere la decisione più consona partita dopo partita”.
Come vede il tecnico di Certaldo?
“Conosce bene la Serie A. L’anno scorso ha centrato l’obiettivo Champions. Quest’anno ha un team con un potenziale enorme e mi auguro che porti i nerazzurri dove meritano”.
Magari anche grazie ai gol di Icardi, che ha affrontato parecchie volte come avversario. Secondo lei è meglio marcarlo aspettandolo in area o deve essere seguito?
“Al Genoa lo marcavamo praticamente a uomo. Quando stavo alla Roma o al Torino seguivamo la zona. Per me quando Mauro è in area va marcato. Senza dubbio. Altrimenti è pericolosissimo”.
Come vede invece il suo connazionale Martinez?
“È veramente forte e talentuoso. Sarà solo una questione di tempo prima che esploda. Ha solo bisogno del giusto periodo di adattamento in un top club del Vecchio Continente”.
Lei in campo mette tutta la grinta del mondo e passa come il cattivo di turno. Fuori invece legge, è pacato, si dimostra una persona diversa da come uno si potrebbe aspettare…
“Si tratta del mio approccio al calcio. Nella vita di tutti giorni voglio imparare, scoprire, capire, essere leader. Tutti atteggiamenti che derivano dalla mia personalità. E c’è chi è anche il mio opposto: sul terreno di gioco è più tranquillo, all’esterno maggiormente ribelle. Basta trovare il giusto equilibrio per far funzionare le cose”.
Chi è il più forte con cui ha giocato?
“Messi. È di un altro livello rispetto a tutti gli altri. Sia a livello tecnico che quantitativo. Con una velocità di esecuzione anormale. Dopo di lui sono tanti i fuoriclasse con cui sono fiero di aver condiviso momenti importanti. Adriano faceva paura per quanto fosse forte. Ibra, Figo, Tevez, Riquelme. E in Nazionale mi ha allenato Maradona”.
Ha il rammarico di aver lasciato l’Inter prima del Triplete?
“No. Era arrivato il momento che le nostre strade si separassero. È stata una mia decisione. Ci sarebbe stato il Mondiale e volevo parteciparvi. Ho comunque festeggiato tantissimo quella Champions. Per gli amici in squadra, perché sapevo quanto ci tenessero i tifosi e anche per Mourinho, con il quale ho un gran rapporto. Il mio unico rimpianto all’Inter è quello che è successo nel finale a Valencia. Quell’episodio con Navarro è un qualcosa, che come dico sempre, non dovrebbe mai succedere”.
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Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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