Ogni estate un tormentone musicale. Quest'anno, invece, nessuna melodia sembra riuscire a sfinire i padiglioni auricolari del volgo accaldato come accaduto in passato. Sarà che ci si è ormai abituati alle scempiaggini quotidiane. E allora ci pensa il mondo del calcio a sopperire alla falla lasciata dalla musica. Il giochino attuale, infatti, pare essere quello di paragonare la strategia societaria della Juventus a quella dell'Inter post-Triplete. Il motivo? Ci sfugge. O forse no.
Innanzitutto, non ci sembra poco rilevante il fatto di perdere o vincere una finale di Champions League. L'Inter il Triplete lo fece davvero, questa Juventus no. Chiedete a Pirlo o a Buffon se si sentono soddisfatti allo stesso modo come se avessero alzato la coppa nel cielo di Berlino.
Ma, al di là del mero risultato (che pure ha un suo peso specifico tutt'altro che secondario), quello propinato a più riprese in queste settimane è un paragone improponibile sotto tutti i punti di vista. Dopo il trionfo di Madrid, José Mourinho lasciò la guida tecnica, mentre oggi Massimiliano Allegri si trova ancora sulla panchina bianconera. Qui va rintracciata la prima grande differenza tra le due realtà. Ma anche per quanto riguarda i giocatori le storie sono completamente differenti: Pirlo, Tevez e Vidal lasciano Torino per proprio volere più che per un diktat societario; Milito, Maicon e compagnia non chiedevano assolutamente l'addio (un aumento, semmai) nonostante le tante richieste pervenute dai migliori club europei. Senza considerare che, con tutto il rispetto che si deve a Marchisio & Co. per la stagione appena conclusasi, la cavalcata interista in quella Champions fu qualcosa di incredibile: mandare al tappeto Chelsea (poi campione d'Inghilterra), CSKA Mosca (poi campione di Russia), Barcellona (poi campione di Spagna e già campione di tutto) e Bayern Monaco (poi campione di Germania) non è esattamente lo stesso di eliminare Borussia Dortmund (all'epoca nei bassifondi della Bundesliga), Monaco (lontano dal vertice in Ligue 1) e Real Madrid (pescato in grave crisi e con Ancelotti già al passo d'addio). Per poi, appunto, perdere la finale anche piuttosto nettamente contro un avversario decisamente mostratosi superiore.
Tralasciando gli aspetti economici, le contingenze generali e tutta una serie di considerazioni piuttosto banali che potrebbero essere proposte su tal argomento, giova rammentare ed evidenziare come in realtà non smembrare quell'Inter non fu una mossa solo romantica, come qualcuno vuole far passare. Certo, l'aumento smodato degli ingaggi di quelli che all'epoca erano considerati eroi oggi può essere valutato come un errore, ma cosa si sarebbe pensato se Massimo Moratti avesse deciso di mandare via in un sol colpo Samuel, Maicon, Julio Cesar, Cambiasso, Sneijder e Milito? Già immagino i vari “Ecco, ha vinto e ora fa soldi!” oppure “Tornerà presto l'Inter di sempre, quella che non vinceva mai”. La verità è che parlare dopo è sempre molto comodo.
Il vero errore di quella dirigenza non fu la conferma della squadra campione di tutto (ad eccezione di Balotelli). No. L'abbaglio fu consegnare quel gruppo fantastico nelle mani del peggior tecnico possibile: Rafa Benitez. E attenzione, “peggiore possibile” non perché lo spagnolo non sia capace di guidare una grande squadra, ma semplicemente perché in quel determinato contesto non poteva fare altro che fallire: agli antipodi con il predecessore per tutto, dall'aspetto tattico a quello disciplinare, fino ad arrivare alla gestione psicologica della rosa. Sbagliò Rafa nell'approccio e non solo; sbagliarono i giocatori a vederlo come fumo negli occhi senza offrirgli troppe chance. Ma sbagliò soprattutto chi lo scelse, ovvero la dirigenza. Le prove che quella squadra potesse vincere e dominare ancora restano sostanzialmente due: il successo nel Mondiale per Club, arrivato praticamente in autogestione, e la rimonta in classifica con Leonardo in panchina, che non si offenderà se non lo citiamo nell'élite degli allenatori.
Poi per carità: se c'è astinenza da tormentone, considerate le altissime temperature, va bene tutto. Anche inventarsi mondi paralleli e i “quasi Triplete”.
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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