Si è scritto tutto, il contrario di tutto, nulla e il contrario di nulla. L’Inter esce con merito, o demerito vedete Voi, mio personalissimo punto di vista, dall’Europa dei grandi e, già che ci siamo, pure da quella dei piccoli per non farsi mancare nulla, le vie di mezzo non ci appartengono. Però un appunto vorrei proprio farlo; c’è modo e modo di uscire, di perdere. E non è la frase banale, buttata lì. No, assolutamente. Nella mia vita calcistica ho visto sconfitte brucianti, eliminazioni atroci, vittorie sfuggite quando già eri convinto di averle ottenute: il massimo comun denominatore di tutte queste situazioni è stata la reazione di chi stava al timone della nave. Mai sgarbata, mai sopra le righe (Mou è un’eccezione ma le sue frecciate erano talmente intelligenti da far sorridere anche il bersaglio degli strali e Gigi Simoni, un Signore, ne aveva ben donde) e mai sguaiata, soprattutto davanti a domande più che lecite e per nulla pruriginose.
La grandezza di chi comanda, a volte, è quella di saper dire: scusatemi, ho sbagliato. Che non significa essere deboli, senza spina dorsale, volgarmente senza palle: significa, al contrario, capire di non aver fatto la scelta più opportuna, semplicemente. Perché tutti sbagliamo, soprattutto chi lavora. Qui non si tratta di essere pro o contro (tra parentesi io sono pro, almeno fino al termine della stagione, poi si vedrà) l’allenatore, non si tratta di tifare Eriksen o pensare non sia un grande giocatore (per me lo è ma io conto quanto il due di picche quando comanda cuori all’ultima mano e non sono usciti né l’asso né il tre di briscola); e non serve rispolverare la cessione di Godin sostituito da Kolarov, del quale possiamo dire tutte le meglio cose ma certo non che abbia iniziato il campionato al galoppo, o del reale step di crescita ottenuto con l’acquisto di Vidal, sembrava dover coprire il ruolo di deus ex machina ma, anche lui, ha toppato qualche appuntamento importante, primo tra tutti quello con il Real.
Questo appartiene al passato, a un inizio campionato decisamente negativo, a un’eliminazione europea dolorosa soprattutto viste le avversarie, delle quali sei più forte. Non appena appena, un cicinin: no, più forte e basta, perché se non credi di poter stare sullo stesso piano di un Real rabberciato e a sei punti dalla capolista nella Liga (potenzialmente nove, mica bruscolini) allora non parliamo di percorsi. Ecco, il percorso. Il famoso percorso. Mettetevi in poltrona e godetevelo. Beh, sincerità per sincerità io il percorso, ad oggi, non me lo sono goduto. Poi, per carità, le ragioni sono molteplici così come le giustificazioni: preparazione scarsa, veloce, senza possibilità di studiare nuovi approcci alle partite - allora perché non continuare a giocare 3-5-2 che i ragazzi conoscono a menadito invece di provare soluzioni differenti per un paio di mesi perdendo punti e certezze – a cui si sono aggiunti infortuni e Covid. Sì, dai, non è che tutto sia filato per il verso giusto fin da inizio settembre.
Ma le giustificazioni, per quanto corrette, non possono e non debbono trasformarsi in alibi: a oggi, perché di oggi parliamo, 12 dicembre 2020, il bilancio è altamente negativo. Non negativo, altamente negativo. Molti chiedono la testa di chi sta in panchina: francamente è un argomento che, come ho scritto in precedenza, non condivido. Per ragioni che elenco velocemente e che, premetto, sono mie considerazioni, non verità assolute da combattere con vigore. 1) Non esistono più alibi, si gioca una volta alla settimana, purtroppo, e zero scuse. 2) Il gruppo, il famoso gruppo, non rema contro il tecnico, anzi: sarebbe controproducente cambiare in corsa, i calciatori in primis non capirebbero il perché. 3) Il nostro allenatore è bravo sulle lunghe distanze: ha problemi, a questo punto conclamati, con i viaggi in Europa ma, al contrario, trova il suo terreno fertile nel campionato, dappertutto per quanto visto finora. 4) Siamo così certi di trovare qualcuno meglio di lui sulla piazza?
Oggi è facile dire prendiamo tizio, no caio, no quell’altro. Ma le Società calcistiche non possono e non debbono ragionare come i tifosi. Non sono tifosi, sono Società, con un occhio al campo e l’altro al bilancio: i tempi dei grandi mecenati sono finiti, oggi impera quella roba chiamata Fair Play Finanziario e, piaccia o meno, a me meno ma è secondario, il pallone deve sottostare a regole economiche sconosciute ai più. Comunque, per chiosare, dal mio punto di osservazione non vedo in giro di meglio. Poi, a fine maggio, i diretti interessati parleranno: senza ville, senza pacine e pacette vere o presunte, senza mezze parole. In primo luogo per l’Inter, che è il bene supremo, che viene prima di tutto e di tutti. Quei colori lì, del cielo e della notte, saranno sempre con noi: tutti gli altri passano.
Quindi avanti, c’è bisogno di ripartire buttando ciò che è stato alle spalle, cominciando da Cagliari.
Solo una cosa: niente percorsi, passeggiate, corsette, panorami o quel che preferite. E un bicchiere di vino, se mi va, lo tengo volentieri accanto.
Alla prossima.
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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