"Vincerà chi riuscirà ad attaccare meglio". Per nulla profetica, la lettura pre-gara di Inter-Atalanta da parte di Antonio Conte non ha trovato la sua manifestazione in campo, dove si sono confrontati soprattutto due modi diversi di difendere. Rispettandosi in maniera reciproca, come era accaduto puntualmente negli altri scontri diretti, le due compagini hanno prodotto una partita a scacchi sul prato verde di San Siro, l'unica che ci si potesse aspettare alla vigilia.
Nell'esaltare la ribellione all'idea di subire un gol, caratteristica da sempre molto sviluppata in Serie A, va segnalato il merito dei due tecnici di aver centrato l'obiettivo senza snaturare il modo di giocare delle rispettive squadre. I due, nello specifico, hanno apportato semmai alcuni accorgimenti tattici necessari per contrastare la forza di un avversario impossibile da non temere. Nulla di sacrilego per due ex eretici della panchina che hanno già dovuto fare i conti in carriera con l'ostracismo verso il proprio modo di pensare calcio. Massimi esponenti in Europa dello schieramento a 3 in difesa, seppur con principi diametralmente opposti, Antonio e Gasp si sono fatti beffe di chi negli anni ha definito il loro sistema inadeguato estremizzandone al massimo i concetti nel Monday Night della 26esima giornata. Con effetti decisamente agli antipodi: se a Conte hanno rinnovato la patente di contropiedista, Gasperini è stato definito 'un genio' per aver costretto i campioni d'Italia in pectore a stare in trincea per novanta e passa minuti. Strana storia nel Paese del risultatismo come ragione di vita, del Santo catenaccio di breriana memoria che ci ha fatto vincere 4 Mondiali. Un tempo, vincere con un solo tiro in porta sarebbe stato addirittura patriottico, molto italiano. Oggi, invece, ammaliata dai modelli internazionali, la critica porta soprattutto alla luce il dato dei gol all'attivo per cominciare un'analisi nel merito. Tanto è vero che il match di lunedì è stato presentato come un duello Champions tra i migliori attacchi della Serie A: 62 a 60 in favore di Lukaku e compagni. Numeri che indicano un'efficacia comprovata nell'arrivare a colpire il bersaglio grosso nelle migliori condizioni possibili.
E allora perché dopo l'1-0, la disamina della gara si è annodata unicamente sulla situazione che ha portato Skriniar a battere Sportiello in mischia? Sarebbe ingenuo pensare che è solo perché è rarissimo vedere qualcuno portare a casa i tre punti centrando lo specchio una sola volta in 90' (all'Inter non accadeva dal 2009). Il punto è un altro: la contrapposizione di due stili viene vissuta sempre come una guerra di religione che va oltre tutto, dal punteggio all'effettivo svolgimento della partita. L'idea pre-confezionata su una determinata squadra, Atalanta e Inter sono i casi più emblematici perché sono in assoluto le più riconoscibili in Italia, deve coincidere con il risultato finale. E se non è così, allora si tirano in ballo la fortuna o i massimi sistemi. Le tesi di base, sempre superficiali, tengono conto di volta in volta di parametri presi a random, senza il minimo rigore statistico: da qui è facile arrivare alla conclusione che l'Atalanta è una squadra offensiva perché pressa in avanti, mentre l'Inter lo è meno perché abbassa i propri avversari per crearsi lo spazio da attaccare. Le posizioni medie dei giocatori in campo, in pratica, rivelano – secondo taluni - l'anima di una formazione. Il guaio è che il calcio è un gioco dinamico, in cui è riduttivo spiegare l'atteggiamento di una squadra con 22 punti distribuiti su un campo in scala. Attacco e difesa sono idee inscindibili nel rettangolo verde, così come dovrebbe esserlo nelle parole scritte o dette dei commentatori del giorno dopo.
Ecco perché non ha ragione di esistere la divisione manichea tra il saper fare o evitare gol, una considerazione in cui è inciampato per un istante persino Conte. Che, a sua discolpa, aveva esordito in conferenza stampa pronunciando una grande verità, sublimata dal comportamento in campo dei protagonisti il giorno successivo: "Ogni squadra deve avere un giusto equilibrio, se riesci a coinvolgere tutti i giocatori in ambedue le fasi puoi ottenere ottimi risultati". Un equilibrio che va ricercato attraverso le caratteristiche dei singoli, che poi è quello che è accaduto effettivamente in campo. Le scelte difensive sono state preponderanti e hanno condizionato il resto. Conte ha optato per lasciare Lukaku come unico riferimento verticale per dare a Lautaro il compito di limitare l'Atalanta sulla destra. E in più ha ridotto ai minimi termini i rischi legati alla costruzione dal basso (gli urlacci a un Brozovic avventuroso davanti alla sua area sono riecheggiatati in tutto lo stadio) non proprio produttiva di fronte al pressing feroce comandato da Gasperini. Che, da par suo, ha puntato inizialmente su una coppia di trequartisti come Pessina e Malinovskyi per chiudere ogni linea di gioco nemica, chiamando la 'salita' forte dei difensori. Nessuno dei due allenatori ha impostato la gara per portare a casa lo 0-0 come nel vecchio modo italico, ma gli espedienti tattici usati hanno finito per togliere fluidità tra la fase di difesa e attacco. Non a caso, Lukaku e Lautaro si sono associati pochissimo perché slegati dal coraggioso uno contro uno a tutto campo marchio di fabbrica dei bergamaschi; dall'altra parte della barricata, la stessa sorte è capitata ai tre offensivi della Dea, mai in grado di attaccare con i tempi giusti l'area densa di uomini o muovere la retroguardia con dribbling e giocate di prima.
Conte, in soldoni, sapeva di dover affrontare la più europea delle squadre italiane, guidata dal 'dentista' Gasperini (copyright Guardiola). E perché mai avrebbe dovuto cercare di prevalere come se prima del fischio d'inizio fosse risuonato l'inno della Champions tra le mura della Scala del Calcio? Meglio rinviare a data da destinarsi il dolore provocato dall'eliminazione in Coppa, ridestato dall''unica rappresentante tricolore che può dire di essere ancora in corsa per i quarti della massima competizione continentale per club. Arriverà il momento di fare i conti con qualcosa che va oltre i confini nazionali, ma a quel punto lo scudetto cucito sul petto potrebbe essere un ottimo anestetico per alleviare i primi sintomi di inadeguatezza.
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Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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