Ha parlato così in una lunga intervista in esclusiva a Fanpage.it l’ex attaccante nerazzurro e ora commentatore sportivo Ivan Zamorano, toccando diversi punti e argomenti e raccontando diversi aneddoti.
Vent'anni dopo la sua partenza da Milano, cosa ricorda dell'Inter?
"Che eravamo una famiglia. E non lo dico solo per i tanti sudamericani come me, Cordoba, Zanetti, Ronaldo, Recoba e il Cholo Simeone. In quegli anni duri si sviluppò un sentimento unico di compattezza. Umanamente era un gruppo fantastico, e Massimo Moratti era il nostro padre".
Ancora oggi è molto amato dal pubblico interista.
"Vedi, in quel periodo di sofferenze per un'Inter che si avvicinò varie volte allo Scudetto riuscì ad avere un'enorme connessione con i suoi tifosi. Il tifoso nerazzurro è passionale e guerriero, proprio come me, e quel periodo da ‘Pazza Inter' in cui vincemmo solo una Coppa UEFA mi permise di sentire a fior di pelle l'enorme affetto che i tifosi avevano per me. Perché io ho dovuto sempre combattere, fin da piccolo, per guadagnarmi il pane".
Nelle sue quattro stagioni complete all'Inter lei trovò sempre spazio, nonostante per un periodo dovette confrontarsi con gente come Ronaldo, Roberto Baggio e Vieri.
"La perseveranza è stata sempre la mia dote principale. Basta pensare allo scenario d'origine: provenivo da un Real Madrid nel quale Jorge Valdano non mi vedeva più nonostante nella stagione 1994-95 fossi stato il capocannoniere. Appena arrivato all'Inter sapevo che dovevo seguire la lezione che mi aveva dato mia madre fin da bambino. Dovevo lottare per trovare un posto da titolare. Ed è per questo che i tifosi interisti mi amano, perché non mi sono mai arreso, anche nei periodi più complicati. E loro vedevano riflesso in me il loro sforzo di tifosi sofferenti. Ci identificavamo a vicenda".
Qual è il suo momento più felice con la maglia dell'Inter?
"Sicuramente la finale di Coppa UEFA vinta a Parigi contro la Lazio. Quella sera eravamo nella città delle luci e una ci ha illuminato in modo straordinario. Segnai il primo gol della partita, trionfammo e divenni il primo cileno di sempre a vincere un trofeo continentale europeo. Fu una notte magica e non ti nascono che quando posso mi riguardo per intero la partita, perché realizzai una grande performance. In quelle immagini vedo un calciatore esperto che diede il suo contributo a una vittoria molto attesa e riuscì a viverla con dei tifosi straordinari che avevano fatto tanti km per vederci trionfare. Il campionato? Il calcio purtroppo è così. Un episodio decide tutto. Quando vidi Iuliano stendere Ronaldo in area ero a due metri e non capii perché non fu fischiato il rigore. In quel momento ci rendemmo conto che si trattava di un furto, tutti avevamo visto cosa era appena successo. E per giunta nell'azione susseguente diedero un rigore alla Juve".
Appena arrivato all'Inter lei prese la maglia numero 9. Poi arrivò Ronaldo, al quale lei cedette la 9 solo nella seconda stagione.
"Il primo anno Ronnie giocò con la 10. Ma in seguito alla delusione del mondiale di Francia '98 e al suo problema di salute convenimmo con Sandro Mazzola, allora dirigente, che sarebbe stato importante lasciargli il numero che aveva sempre vestito. Poi parliamo di Ronaldo, il miglior attaccante della storia. Io, però, mi sentivo anch'io un 9 e dunque cercai un'alternativa. Non ricordo se fu lo stesso Mazzola o un magazziniere ad aver l'idea di mettere la somma di due numeri che arrivasse a 9 e scelsi la maglia 18. Nelle prime giornate di campionato la Lega Calcio ancora non aveva permesso di inserire il simbolo ‘+' in maniera ufficiale sulla maglia, e quindi prima di ogni partita usavamo lo scotch per farlo risaltare".
Oggi nella sua Inter giocano due cileni, Sanchez e Vidal. Il primo sta giocando poco e non sembra attraversare un bel momento…
"Personalmente penso che in momenti come questo, quando si ha poco spazio, Alexis stia facendo quello che deve fare, ossia dare il suo contributo quando viene chiamato in causa. Lui è un giocatore diverso dagli altri, di quelli che può accendere la luce in qualsiasi momento. È creativo, e rapido di testa, e può offrire molte alternative di gioco a Simone Inzaghi. Deve continuare a lavorare e non arrendersi mai per trovare la giusta forma quanto prima".
Vidal invece è il classico guerriero che ad arrendersi non ci pensa proprio.
"Arturo ha dimostrato in tutta la sua carriera la sua estrema completezza. In quanto a sforzi e perseveranza mi assomiglia molto. La sua è una mentalità vincente, la mentalità di un calciatore polivalente, che sa tessere gioco ma anche lottare e inserirsi in attacco. È un guerriero che però sa prendersi cura del pallone anche in fase di costruzione. Ed è un grande motivatore per i suoi compagni e per i tifosi".
Il cileno ha poi espresso un pensiero su come influirà in questo campionato il pareggio tra Inter e Juventus: "È ancora presto per poter dire se avrà conseguenze, ma di certo c'è che se una delle due avesse vinto adesso avrebbe il morale su di giri. Il derby d'Italia è un trampolino emozionale per chi lo vince".
Gianluca Pisani
Vent'anni dopo la sua partenza da Milano, cosa ricorda dell'Inter?
"Che eravamo una famiglia. E non lo dico solo per i tanti sudamericani come me, Cordoba, Zanetti, Ronaldo, Recoba e il Cholo Simeone. In quegli anni duri si sviluppò un sentimento unico di compattezza. Umanamente era un gruppo fantastico, e Massimo Moratti era il nostro padre".
Ancora oggi è molto amato dal pubblico interista.
"Vedi, in quel periodo di sofferenze per un'Inter che si avvicinò varie volte allo Scudetto riuscì ad avere un'enorme connessione con i suoi tifosi. Il tifoso nerazzurro è passionale e guerriero, proprio come me, e quel periodo da ‘Pazza Inter' in cui vincemmo solo una Coppa UEFA mi permise di sentire a fior di pelle l'enorme affetto che i tifosi avevano per me. Perché io ho dovuto sempre combattere, fin da piccolo, per guadagnarmi il pane".
Nelle sue quattro stagioni complete all'Inter lei trovò sempre spazio, nonostante per un periodo dovette confrontarsi con gente come Ronaldo, Roberto Baggio e Vieri.
"La perseveranza è stata sempre la mia dote principale. Basta pensare allo scenario d'origine: provenivo da un Real Madrid nel quale Jorge Valdano non mi vedeva più nonostante nella stagione 1994-95 fossi stato il capocannoniere. Appena arrivato all'Inter sapevo che dovevo seguire la lezione che mi aveva dato mia madre fin da bambino. Dovevo lottare per trovare un posto da titolare. Ed è per questo che i tifosi interisti mi amano, perché non mi sono mai arreso, anche nei periodi più complicati. E loro vedevano riflesso in me il loro sforzo di tifosi sofferenti. Ci identificavamo a vicenda".
Qual è il suo momento più felice con la maglia dell'Inter?
"Sicuramente la finale di Coppa UEFA vinta a Parigi contro la Lazio. Quella sera eravamo nella città delle luci e una ci ha illuminato in modo straordinario. Segnai il primo gol della partita, trionfammo e divenni il primo cileno di sempre a vincere un trofeo continentale europeo. Fu una notte magica e non ti nascono che quando posso mi riguardo per intero la partita, perché realizzai una grande performance. In quelle immagini vedo un calciatore esperto che diede il suo contributo a una vittoria molto attesa e riuscì a viverla con dei tifosi straordinari che avevano fatto tanti km per vederci trionfare. Il campionato? Il calcio purtroppo è così. Un episodio decide tutto. Quando vidi Iuliano stendere Ronaldo in area ero a due metri e non capii perché non fu fischiato il rigore. In quel momento ci rendemmo conto che si trattava di un furto, tutti avevamo visto cosa era appena successo. E per giunta nell'azione susseguente diedero un rigore alla Juve".
Appena arrivato all'Inter lei prese la maglia numero 9. Poi arrivò Ronaldo, al quale lei cedette la 9 solo nella seconda stagione.
"Il primo anno Ronnie giocò con la 10. Ma in seguito alla delusione del mondiale di Francia '98 e al suo problema di salute convenimmo con Sandro Mazzola, allora dirigente, che sarebbe stato importante lasciargli il numero che aveva sempre vestito. Poi parliamo di Ronaldo, il miglior attaccante della storia. Io, però, mi sentivo anch'io un 9 e dunque cercai un'alternativa. Non ricordo se fu lo stesso Mazzola o un magazziniere ad aver l'idea di mettere la somma di due numeri che arrivasse a 9 e scelsi la maglia 18. Nelle prime giornate di campionato la Lega Calcio ancora non aveva permesso di inserire il simbolo ‘+' in maniera ufficiale sulla maglia, e quindi prima di ogni partita usavamo lo scotch per farlo risaltare".
Oggi nella sua Inter giocano due cileni, Sanchez e Vidal. Il primo sta giocando poco e non sembra attraversare un bel momento…
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Gianluca Pisani
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