“Non ho nulla di personale contro Thohir, ma oggi l’Inter per lui è soltanto interesse: una squadra di calcio prima di tutto deve essere amata, non considerata un business”. Parole secche, accorate, pesanti, romantiche. E, seppur forse arrivate fuori tempo massimo, assolutamente condivisibili. Parole firmate poche settimane fa dal ragionier Ernesto Pellegrini, intraprendente e determinato self-made man milanese classe 1940 figlio di un ortolano del quartiere Taliedo, cavaliere del lavoro in cima ad un gruppo leader nel settore della ristorazione collettiva che attualmente offre occupazione a 7500 dipendenti, tifosissimo nerazzurro innamorato delle gesta del geniale Lennart “Nacka” Skoglund e, soprattutto, presidente della Beneamata per undici lunghi e chiaroscuri anni, dal 1984 al 1995, intrisi di meravigliose gioie (vedi l’ineguagliato scudetto-record 1988/’89 targato mister Trapattoni) e strazianti disfatte (ad esempio, l’inaspettato e terrificante tredicesimo posto nella Serie A 1993/’94). Undici faticose stagioni di governo passate a predicare efficienza e riservatezza, a tentare di combattere sul campo l’orgia di potere mediatico-politico-economico del fastoso Milan di Silvio Berlusconi, a lanciarsi in cospicui investimenti per comprare magnifici assi – a partire dal poderoso centravanti tedesco Karl Heinz Rummenigge, il biglietto da visita con il quale il rampante Ernesto si presentò alla gente del Biscione non appena acquistato da Ivanoe Fraizzoli il pacchetto di maggioranza – ma anche abbaglianti bidoni del calibro di Darko Pancev, a lottare contro un vistoso tic all’occhio sintomo del crescente nervosismo accumulato specialmente negli ultimi sfiancanti anni di gestione, a conquistare quattro trofei (un tricolore, una Supercoppa italiana e due, ardue quanto prestigiose, coppe Uefa) e a sfiorarne alcuni altri in una rivoluzionaria ed indimenticabile “Età dell’Oro” in cui il meglio del football mondiale era allora quasi totalmente ospite del campionato del Belpaese, segnatamente mutato sempre più in showbiz.
Undici annate al termine delle quali, in coda a quattro altalenanti settimane di trattative e nel bel mezzo di una grave crisi tecnico-economica che stava stritolando la società nerazzurra, per una somma intorno ai settanta miliardi di lire cedette a furor di popolo la proprietà del club a Massimo Moratti, l’amico petroliere che Pellegrini, insieme ad una misteriosa cerchia d’industriali nostrani con importanti finanze a disposizione, ha recentemente dichiarato che sarebbe lieto d’aiutare pur di vedere l’Inter rimanere saldamente nelle affidabili e italiane mani dell’odierno amministratore delegato Saras: l’affidabilità e l’italianità di una persona che da diciotto stagioni ha rinverdito una gloriosa saga famigliare mettendosi a capo della squadra con la stessa incredibile passione, serietà, trasparenza, attenzione, generosità e nobiltà d’animo ereditate dal padre Angelo, leggendario presidente che negli anni Sessanta rese la formazione meneghina allenata da Helenio Herrera perennemente “Grande”. Grande quanto quella del figlio Massimo, patron che pare ora ad un passo dal vendere almeno il 65% delle quote al magnate indonesiano Erick Thohir (per una cifra circa dieci volte maggiore rispetto a quella spesa nel 1995) ma che “rischia” realmente di rimanere in eterno il più vincente dell’ultracentenaria storia del Biscione: una storia ripartita in pompa magna sotto il nome Moratti grazie anche al fondamentale apporto dell’avvocato Peppino Prisco, splendido trait-d’union tra la volontà d’acquisto di Moratti junior e la voglia di cessione, seppur forzata dai sempre più pressanti inviti dell’esasperata tifoseria, di Pellegrini. Il 18 febbraio 1995 andavano così a riannodarsi i fili di una mitica epopea che sarebbe poi stata ulteriormente impreziosita da sedici meritati trofei conquistati, da una nutrita schiera di fuoriclasse di livello internazionale portati a vestire la maglia interista, da una genuina, integra e signorile condotta rarissima per il calcio da squali dell’ultimo ventennio, comportamenti capaci di regalare una limpida immagine del club nerazzurro in grado di rendere orgoglioso il proprio popolo alla pari delle molte coppe vinte o dei tanti campioni comperati.
“Auspico che Moratti continui ad essere l’azionista di riferimento dell’Inter, avviando una ristrutturazione della società attraverso l’accordo con alcuni nuovi soci italiani, seri, economicamente forti e, soprattutto, interisti: mi rifiuto di credere che non ci sia nessuno con tali caratteristiche che, assieme a me, possa farsi avanti”: questo il sentimentale appello lanciato una ventina di giorni fa dal ragionier Ernesto Pellegrini, indubbiamente la soluzione migliore che gli aficionados della Beneamata potrebbero augurarsi per uscire dall’attuale empasse finanziaria e contemporaneamente lasciare la maggioranza del club nelle garantite mani di chi ha sempre e solo agito per il bene dei colori nerazzurri. Potendo così scongiurare la sventurata ipotesi di vedere quei supporter che oggi invocano a pieni polmoni l’arrivo di Thohir – qualcuno addirittura a colpi d’inconcepibile memoria corta e irrispettosa ingratitudine – essere costretti a far lo stesso tra pochi anni per un ritorno riparatore di Massimo Moratti.
Pierluigi Avanzi
Autore: Redazione FcInterNews / Twitter: @FcInterNewsIt
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