Lunga intervista di Sandro Mazzola anche sulle colonne del Corriere dello Sport. Ecco qualche frammento delle parole dell'ex nerazzurro. "Le partite le seguo alla tele e naturalmente correggo ad alta voce un passaggio o un dribbling. Io al posto di quel tal giocatore sarei andato a destra e non a sinistra, la palla l’avrei tenuta ancora un po’ per permettere all’ala di partire… I miei figli mi prendono in giro, ma io il calcio ce l’ho dentro, il dominio della tecnica è tutto, un privilegio che non perdi mai. Ho un nipotino di 8 anni che ha contratto la malattia del nonno, un fenomeno". 

Moratti lo sente più?
"Chi?".
 
Come chi? Moratti. 
"Se dici Moratti penso subito al padre, non al figlio, altra misura il padre".  
 
Rischi di passare da ingrato. 
"Tralasciamo. Angelo Moratti aveva un carisma irresistibile e io ero l’unico ragazzino che andava da lui per discutere il contratto, aggirando Allodi. Allodi mi aveva proposto un adeguamento ridicolo, o almeno io lo consideravo tale. “Senta un po’”, aveva detto, “questa è la cifra, prendere o lasciare”. Gli avevo risposto che stavano dando molto di più ad altri juniores che non era nemmeno nazionali, mentre io lo ero. Cacciato in malo modo dall’ufficio. Quando Moratti lo venne a sapere mi fece chiamare dalla segretaria che mi pregò di non dire nulla ad Allodi. Uscii dal suo studio col doppio dei soldi che avevo sperato di prendere". 

E Allodi? 
"Muto, davanti a Moratti". 
 
Ricordi il tuo primo derby? 
"Nel ‘63. Subito in gol. Avevo uno del Milan sempre attaccato alla schiena. Non ricordo il nome. Mi seguiva dappertutto, anche quando Herrera urlò di avvicinarmi alla panchina perché aveva un paio di cose da spiegare. Vuoi sapere cosa mi disse, poi, quello che mi stava appiccicato? “Non ho capito un cazzo di quello ti ha detto Herrera, adesso come faccio a marcarti?” Un altro mondo, era un altro calcio". 

I ricordi e i personaggi si susseguono quasi naturalmente, adesso. Non c’è nemmeno bisogno di incoraggiarli.
"Senza il Mago non ci sarebbe stato Mazzola. Herrera allenava prima la testa e poi le gambe perché le gambe rispondono alla testa, e aveva sempre la parola giusta al momento giusto, un motivatore eccezionale che il lunedì deridevi, il mercoledì tolleravi e il venerdì, quando capivi che la sua insistenza su certi argomenti ti aveva cambiato il cervello, riuscivi ad apprezzare totalmente. Era uno psicologo, nei casi più difficili uno psichiatra. Trascura i discorsi sulle pastiglie che ho fatto in passato, il suo era doping psicologico. Il Mago l’ho visto calciare il pallone poche volte, forse era nemmeno buono, eppure nel calcio ha fatto miracoli. Faceva tutto in velocità perché lui era veloce di testa. Mourinho gli somiglia". 
 
Strano derby, il prossimo. 
"Americani, cinesi. Da troppi anni il derby non è più dei calciatori ma solo dei tifosi. Lo straniero gioca per una vittoria che è uguale ad un’altra, il tifoso vuole essere la prima squadra di Milano, tiene in vita valori che vengono da lontano". 
 
Non pensi che Spalletti e Gattuso siano in grado di trasmettere il senso del derby alla squadra? 
"Spalletti mi piace, è determinato. Gattuso non lo calcolo, fa parte dell’altra metà della mela e io sono un mezzo Prisco, anche per me il Milan non esiste. Come disse l’avvocato, “a Milano ci sono due squadre: l’Inter, e la Primavera dell’Inter”". 

Sezione: Rassegna / Data: Ven 19 ottobre 2018 alle 11:49 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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