Lunga chiacchierata di Alessandro Bastoni alle colonne della Rivista Undici attraverso la quale il difensore nerazzurro discute vari argomenti che riguardano il calcio e la sua Inter. "È chiaro che nell'immaginario collettivo il difensore difende e basta. Non è il mio caso, a me piace fare molto altro. È una cosa che mi viene molto naturale. Guardavo quello che faceva Tolói, che è stato uno dei primi difensori a giocare in questo modo. E all'Atalanta, dove ho fatto il settore giovanile, si lavora molto sulla tecnica" ha detto a proposito del ruolo del difensore che poi si è soffermato a rispondere sugli schemi: "Già con Conte giocavo in questo modo, poi è diventato sempre più evidente con l'arrivo di Inzaghi in panchina e Dimarco in campo. Ci aggiungo anche Mkhitaryan in questo discorso, è fondamentale. Sono schemi che ci vengono in maniera molto naturale e che con il tempo si sono elevati all'ennesima potenza. La possibilità di giocare in questo modo dipende molto da questo, dal contesto e dalle persone giuste. Io mi reputo un giocatore molto intelligente. Riesco a capire bene le situazioni in campo. Probabilmente in formazione iniziale mi vedrete sempre in difesa, e poi mi sposto nelle zone del campo durante la partita" ha continuato.
Oggi i veri fuoriclasse in Italia sono i difensori:
"Certamente sono cose che fanno piacere, ma quello che ho imparato con l'esperienza è che un giorno sei fortissimo, quello dopo sei scarso. Ogni domenica devi dimostrare quello che vali. Per questo bisogna mantenere tanto equilibrio".
Gioia e pressione sotto controllo, è forse questo il segreto del numero 95 dell'Inter?
"Non ho mai sentito la pressione, ho sempre vissuto tutto con la gioia di fare quello che mi piace. Ed è la stessa filosofia che porto avanti tuttora. È una dote che ho da sempre, farmi trovare pronto al momento giusto. Per rimanere centrato, non ho bisogno di troppo aiuto: mi basta la famiglia, che mi dà la giusta leggerezza".
Questa è la sua settima stagione con l'Inter. Giocare per la squadra per la quale si tifa sin da piccoli è una responsabilità non indifferente:
"Molto è cambiato in questi anni. Quando ero arrivato, avevo solo vent'anni: per me era un sogno soltanto vedere lo stemma dell'Inter sulla maglia che indossavo. Non potevo avere quel tipo di personalità e leadership che invece ho adesso. Quello che per me hanno rappresentato i vari Handanovic, D'Ambrosio, Ranocchia, oggi lo faccio io con i più giovani. Sono io a dover trasmettere l'attaccamento alla maglia e quello che significa giocare per l'Inter. Lautaro è il nostro capitano e il nostro leader, ma è molto bravo a farsi aiutare quando serve. Dipende dai momenti, ma anche giocatori come me o Barella ci facciamo sentire all'interno dello spogliatoio. Anzi, mi prenderei un merito: quello di saper indirizzare i ragazzi nuovi nella giusta direzione, fargli capire che tipo di persone siamo e cosa ci aspettiamo da loro. Adesso con noi c'è Pio Esposito, che si è trovato catapultato in un mondo dove è facile perdere la testa. Noi cerchiamo di dargli una mano, ma per il momento non ce n'è stato il bisogno: è super tranquillo, sta capendo da solo la situazione".
La finale di Champions a Monaco di Baviera:
"È stata una cosa molto strana. Venivamo da una semifinale che resterà nella storia della Champions, ma in finale il PSG andava al doppio di noi. È difficile dire cosa sia successo, è come se non avessimo saputo cogliere quanto fossero forti. Rimane comunque l'orgoglio di aver raggiunto due finali in tre anni, non è una cosa semplice. Chiaramente avremmo preferito vincerle, ma sono tutte esperienze che ci portiamo dentro".
Quella maledetta finale non si può cancellare, ma da quella si può ripartire e ricominciare a lavorare.
"Il calcio ti dà sempre un'altra occasione. Non è facile, non abbiamo dormito diverse notti perché la delusione era tanta, però poi quando passa un po' di tempo dici: ci voglio riprovare, voglio arrivare a vivere ancora certe sensazioni. Quando hai un gruppo sano che ti aiuta, dove tutti remano dalla stessa parte, è più facile".
Cristian Chivu:
"Ha avuto un approccio molto positivo. È una persona molto valida, un ragazzo eccezionale che ha tanta voglia di lavorare, ci trasmette le cose nella maniera giusta. Secondo me ha colto perfettamente il modo migliore di entrare all'interno del gruppo".
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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