Il dolore alla spalla mi avrebbe accompagnato per tutta la partita, costringendomi a giocare al 20, forse al 30% delle mie forze proprio nella sfida che valeva una stagione, se non addirittura una carriera, la finale che ci avrebbe fatto entrare nella storia vincendo due Champions League consecutive con indosso la maglia (e per me la fascia) del Real Madrid. Prima però bisognava giocarla, noi spinti come sempre da Cristiano Ronaldo, la Juve con Higuain affamato di vendetta e con Dybala, l'erede designato del nostro rivale Messi. 

Arrivati in hotel nella città che porta il nome di Cardiff, il mister Zinedine Zidane chiese rapporto delle mie condizioni fisiche. Non mentii, il mister sapeva già dei problemi alla spalla e al ginocchio dopo avermi visto ballare in maniera sgangherata alle canzoni messe in stereo da Marcelo. Mi suggerì di incontrare un tale Dottor A. che a detta sua aveva fatto già dei miracoli con lui e la Juve a cavallo degli anni '90. Risposi che ci avrei pensato, ma il mister, a mia insaputa, aveva già deciso. Due giorni dopo, alla vigilia della partita, fui convocato nello studio del medico sociale del nostro club per quelli che presumevo dovessero essere i soliti controlli del caso. Ma l'uomo che mi ritrovai di fronte quando varcai l'ingresso della sala non l'avevo mai neppure visto dalle parti di Valdebebas. Il cranio stempiato a eccezione dei fitti capelli bianchi pettinati ai lati fin sopra la nuca, gli occhi piccoli e infossati dietro agli occhiali spessi segnavano il volto corrugato di un anziano 70enne. Doveva essere italiano a giudicare dall'accento spagnolo impacciato ma corretto che mi ricordava le prime difficoltà con la lingua di Ancelotti. Mi fece sdraiare per iniettarmi degli anti-infiammatori che come diceva lui avrebbero assopito i miei fastidi per tutta il corso della finale e anche oltre. "Questa qui era la preferita di Ravanelli", mormorò mentre concludeva il trattamento, e io allora capii. "Lei adesso di che si occupa?". "Sono il direttore responsabile del J Medical a Torino". 

Già nel riscaldamento mi sentivo un leone, lo dissi a CR7 che fece un salto e mi urlò "siuuu". La partita finì in un trionfo come da programma, 4-1, e quando alzai la coppa mi accorsi che pesava anche meno di un bocadillo, chiesi lumi a Ceferin che mi assicurò che si trattava dell'originale d'argento di 9 chili. Al rientro negli spogliatoi fui chiamato al controllo dell'anti-doping, allarmato avvisai subito Zidane che in quel momento stava parlando in disparte con il presidente: "Tranquillo, sistemiamo tutto noi". Avevo già svelato la cosa ai miei compagni e la voce arrivò pure a Del Piero, che a Cardiff faceva l'opinionista per una tv italiana e mi incrociò all'uscita dallo stadio: "Embè, che problema c'è?".

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Sezione: Il Calcio Parallelo / Data: Mar 27 novembre 2018 alle 00:10
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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