Dura non lasciarsi trascinare dall'entusiasmo in questo momento. Al Da Luz a illuminare è statal'Inter, al cospetto di un Benfica meno temibile di quanto venisse dipinto in precedenza, anche in virtù di numeri encomiabili. Ma i numeri in campo contano fino a un certo punto, perché a fare la differenza sono l'atteggiamento, la qualità, la combattività, quella famosa resilienza citata da Inzaghi dopo il cocente 1-1 dell'Arechi. Stando al campionato, che dopo mesi vede i nerazzurri fuori dalle prime 4 posizioni, contro le Aquile non doveva esserci storia: un gruppo insicuro, incapace di segnare e di vincere, palesemente sfiduciato e con un allenatore mediaticamente esonerato, contro una squadra che sta dominando il proprio campionato e ha ottenuto ampi consensi nel suo percorso in Champions League, grazie al bel gioco e alla facilità di trovare la via del gol. Sulla carta, l'Inter sarebbe stata un agnello sacrificale a due giorni dalla Pasqua. Però sul rettangolo di gioco c'è l'erba (non bellissima, a questo giro), non la carta. E i nerazzurri hanno indossato l'abito delle grandi occasioni, confermando il curioso trend da medaglia: una faccia, quella in Italia, piena di lacune e preoccupazioni; l'altra, europea, da prima della classe.
Un 2-0 eloquente, figlio di una prestazione solida, traboccante di personalità, l'interpretazione ideale per questo genere di serate in cui hai tanto da perdere e poco da guadagnare. Col senno di poi Dzeko dal primo minuto non è stata un'idea geniale, ma avere questo Lukaku a gara in corso ha contribuito a spaccare la partita, spaventando i già ansiosi centrali di Schmidt. Occhio però: iniziare a fare nomi e cognomi dei grandi protagonisti al Da Luz rischia di prolungare all'infinito l'encomio alla prova nerazzurra. Tutti o quasi hanno fatto molto bene, anche quelli messi alla berlina dalle vicende in campionato. E allora, riassumendo, è giusto che una valanga di complimenti vadano a Simone Inzaghi, ormai da tempo il capro espiatorio dei limiti di questa squadra. Avrà lasciato per strada tanti, troppi punti in campionato mettendosi nelle fastidiose condizioni di dover rincorrere il Santo Graal (piazzamento Champions), ma al contempo ha cucito su mirura dei suoi un abito perfetto per le serate europee, sovvertendo ogni tipo di pronostico. Laddove nessuno ci era riuscito dopo José Mourinho.
Il 2-0 a Lisbona ha il dolce sapore dell'impresa, ma guai a staccare la spina per due semplici ragioni: sabato al Meazza arriva il Monza mentre quattro giorni dopo, sempre nella Scala del Calcio, l'Inter ospiterà un Benfica che farà all in per ribaltare il risultato dell'andata. Perché una belva ferita è assai più pericolosa di una in salute. Ergo, i nerazzurri sono solo a metà dell'impresa e prima di prenotare un posto nelle semifinali è cosa buona e giusta attendere il verdetto dei 180 minuti. Quindi, godiamoci questa serata indimenticabile ma la parola d'ordine sia: calma.
Ultimo pensiero per Joao Mario: miglior giocatore delle Aquile senza timore di smentita, letteralmente regalato dai nerazzurri al Benfica dopo l'esperienza fallimentare tra Milano e prestiti vari, sembrava destinato a interpretare il ruolo del dura lex, sed ex. Invece un suo tocco inopportuno con il braccio ha peggiorato e non di poco la situazione dei suoi, mandando Lukaku dal dischetto. Sicuramente al Meazza giocherà una grande partita, ma a questo giro JM ha ringraziato concretamente l'Inter per avergli restituito una carriera da calciatore.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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