"Quest'anno dobbiamo bilanciare le entrate e le uscite dei giocatori, l'Inter è in un momento di transizione". A leggerle a posteriori, le parole pronunciate dal presidente Erick Thohir ai microfoni di The Straits Times in data 30 luglio ci restituiscono l'idea che le strategie del tormentato calciomercato estivo nerazzurro ad un certo punto imprecisato nel tempo abbiano cominciato a seguire la traiettoria del rigore finanziario. L'imbarcazione guidata a fatica dalla coppia di nocchieri Sabatini-Ausilio nel tempestoso mare magnum di nomi altisonanti, in pratica, si è incagliata sul più bello, nel mese più caldo in cui l'hashtag #InterisComing sarebbe dovuto diventare porto sicuro dove far sbarcare giocatori del calibro di Vidal, Di Maria o Nainggolan.
Lasciate alle spalle le onde alte del Fair Play Finanziario a fine giugno, i dirigenti della Beneamata, infatti, hanno scorto all'orizzonte la burrasca imprevista e imprevedibile rappresentata dalle recentissime restrizioni ordinate dal governo cinese in materia di investimenti nel mondo del calcio. Tra queste due colonne d'Ercole, la nave targata Suning – a fronte delle difficoltà di cui sopra – è riuscita ad accogliere a bordo sei nuovi elementi dal valore di 80 milioni di euro solo per costo dei cartellini.
Spese che non si avvicinano nemmeno lontanamente ai 150-200 milioni di euro di budget sbandierati dai media (la famiglia Zhang non ha mai fatto riferimento ad alcuna cifra) e che ricalcano quasi fedelmente la somma investita nella scorsa campagna acquisti, la prima del colosso di Nanchino da quando ha preso possesso degli uffici di Corso Vittorio Emanuele II. Insomma, Suning non uguaglierà il giro d'affari dei due potentati del calcio come Manchester City e PSG, ma - dopo aver portato un segno di discontinuità con la gestione indonesiana basata sulla filosofia del 'pagherò' - a distanza di un anno e due mesi dal suo insediamento ha dimostrato di voler continuare a puntare sullo sviluppo della rosa, unico asset societario in grado di portare i tanto agognati risultati sportivi.
Sì, proprio loro, i risultati sportivi, quelli che nel tempo sono passati sbadatamente di moda, tanto che oggi la frase magica del 'puntare alla Champions' ha assunto il significato di parteciparvi e non di provare a vincerla. Con grande soddisfazione di Pierre de Coubertin, non tanto dei tifosi che da tempo immemore assistono impotenti, al più lanciando i più disparati anatemi social a dirigenti e tecnici di turno, ad una situazione dalla quale si fa fatica a venirne a capo. Non bastasse il danno subito in questi anni dagli affezionati ai colori nerazzurri, l'altro ieri è arrivata anche la più classica delle beffe dalla Francia, dove l'autorevole Équipe ha pubblicato un report nel quale si evidenzia che dopo il Triplete Moratti e successori hanno speso la bellezza di 526,5 milioni di euro in cartellini negli ultimi sei anni, poco meno di 25 rispetto al pluridecorato Real Madrid. Impietoso anche il saldo tra entrate e uscite sempre nel periodo temporale suddetto: i nerazzurri sono il decimo club del Vecchio Continente meno oculato dal punto di vista economico con 228 milioni di perdite.
Il dato, che ai più risulterà relativamente basso e anacronistico nell'estate della cifra folle da 222 milioni di euro scucita dal PSG per assicurarsi Neymar, apre certamente a una riflessione sull'opportunità di poter spendere e spandere avendone l'occasione. Al di là delle contingenze storiche del FFP, del Settlement Agreement, infatti, la cultura dei proprietari cinesi dell'Inter, che stiamo ancora imparando a conoscere, è stata spiegata al meglio da Steven Zhang a Singapore, in una rara intervista rilasciata alla stampa italiana: "Non conta quanto spendiamo e il nome roboante, bensì quanto i nostri dirigenti sportivi e il nostro allenatore trovino il giusto profilo e che si riesca a prenderlo. Acquistare grandi nomi non vuol dire per forza che si comprino gli elementi adatti per l'Inter. Il grande nome è quello funzionale al progetto tattico e umano". Niente più e niente di meno rispetto al discorso fatto dal socio di minoranza e numero uno del club Erick Thohir: "Dobbiamo essere intelligenti sul mercato. Spendere molti soldi non garantirà lo Scudetto".
Nel giro di poche settimane, in pratica, da osservatori esterni delle vicende interista abbiamo assistito a una inversione a U nei fatti, accompagnata da un cortocircuito comunicativo, nella quale la parola 'intelligenza' ha sostituito quella più intrigante di 'sogno': dopo la prudenza autoimposta di giugno, il pragmatismo di luglio, ecco che agli sgoccioli del mercato ha cominciato a far capolino l'esigenza dell'utilizzo dell'ingegno necessario a cambiare in corsa alcune trattative già apparecchiate che poi sono state mandate a monte. Su tutte l'affare legato a Patrik Schick, assurto negli ultimi giorni a prova principe per suffragare le perplessità sulla bontà del progetto della Zhang family. Una questione che per i sostenitori più pessimisti è diventata addirittura di principio, come se il fatto di non riuscire ad acquistare per 40 milioni di euro il bomber ceco, talento purissimo ma non certo la priorità più stringente per Spalletti, fosse diventata la cartina tornasole per giudicare il lavoro di 90 giorni degli uomini mercato e quello di 400 della società.
Vada come vada, il 31 di agosto non arriverà la fine del mondo, suonerà solamente la campanella che anticiperà il giorno del giudizio, il tempo giusto nel quale si potrà analizzare lavoro della squadra nerazzurra con l'aggettivo più appropriato.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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