Ad ogni sosta per le Nazionali, puntualmente, ci si focalizza maggiormente su temi non strettamente di campo, ma su quelli legati a eventualità future, come il mercato o, nel caso di Inter e Milan, il nuovo stadio. Ecco, per quanto mi riguarda non vedo davvero l’ora che venga inaugurato il nuovo impianto milanese. Non so quando e se accadrà, dato un giorno arrivano indiscrezioni ottimistiche, e quello successivo pessimistiche. Ma so per certo – sempre tenendo ovviamente conto dell’ambiente e dall’impatto urbanistico sostenibile di una costruzione imponente – che sarebbe una panacea per i conti dei due club milanesi. E un ascensore verso il presente per la città lombarda.
Di futuro infatti non possiamo parlare, proprio perché tutti i club più importanti del mondo hanno il loro impianto. Guadagnano bene e si godono da tempo immemore le proprie strutture. Cosa che io ho vissuto in prima persona, per tre anni, dalla stagione 2010/11 a Madrid. Serviva infatti un giovane cronista che parlasse spagnolo e potesse seguire Mourinho al Real. Ed eccola qui una delle avventure lavorative più importanti della mia vita. E quando provi sulla tua pelle certe situazioni, capisci come davvero ci siano dei cambiamenti doverosi da seguire.
Staccarsi dall’idea di stadio come luogo dove recarsi solo prima delle partite penso sia fondamentale. Al Bernebeu – e parlo di quello di 10 anni fa, che nulla ha a che vedere con le recenti ristrutturazioni – c’erano ristanti, negozi, bar. E soprattutto era un punto di aggregazione a prescindere da una gara calcistica. Cioè era normale trovarsi nei pressi e poi restare in zona a passare la serata. Può sembrare poi incredibile, ma a San Siro, per arrivare alla tribuna stampa, scale a parte, esiste solo un ascensore. Con tutto il rispetto, nel condominio di casa mia ce ne sono quattro. Le diversità sono evidenti. Così come gli eventuali benefici per un club calcistico.
Di futuro infatti non possiamo parlare, proprio perché tutti i club più importanti del mondo hanno il loro impianto. Guadagnano bene e si godono da tempo immemore le proprie strutture. Cosa che io ho vissuto in prima persona, per tre anni, dalla stagione 2010/11 a Madrid. Serviva infatti un giovane cronista che parlasse spagnolo e potesse seguire Mourinho al Real. Ed eccola qui una delle avventure lavorative più importanti della mia vita. E quando provi sulla tua pelle certe situazioni, capisci come davvero ci siano dei cambiamenti doverosi da seguire.
Staccarsi dall’idea di stadio come luogo dove recarsi solo prima delle partite penso sia fondamentale. Al Bernebeu – e parlo di quello di 10 anni fa, che nulla ha a che vedere con le recenti ristrutturazioni – c’erano ristanti, negozi, bar. E soprattutto era un punto di aggregazione a prescindere da una gara calcistica. Cioè era normale trovarsi nei pressi e poi restare in zona a passare la serata. Può sembrare poi incredibile, ma a San Siro, per arrivare alla tribuna stampa, scale a parte, esiste solo un ascensore. Con tutto il rispetto, nel condominio di casa mia ce ne sono quattro. Le diversità sono evidenti. Così come gli eventuali benefici per un club calcistico.
Io ora non pretendo di seguire l’esempio dei Galacticos che puntavano a costruire un’isola vacanze marchiata Real, ma sicuramente che ci si metta al passo con i tempi. Ergo: Inter e Milan, assieme alle istituzioni locali, lavorino insieme per trovare la miglior soluzione possibile. Che sia di rimodernare San Siro o di costruire dal nulla un nuovo polo sportivo, si faccia presto! In sicurezza e seguendo le leggi, per il benessere di tutti.
E a proposito di regole, queste devono essere uguali per tutti. O meglio, le stesse decisioni devono essere applicate in modo univoco. Altrimenti creare figli e figliastri denota quantomeno un lavoro poco preciso e non accurato. Si creano precedenti e si alimentano illazioni non veritiere. In questo caso mi riferisco al Giudice Sportivo. Il motivo è semplicissimo. Negli ultimi anni solo la Curva dell’Inter è stata squalificata per razzismo. E se permettete, questo non è corretto. Anziché andare avanti, si va indietro. Chi sbaglia, deve pagare. E se in uno stadio si sentono insulti di natura razzista, non contano i colori della squadra che supporti. Ma dopo la decisione contro il settore nerazzurro, il nulla. E io rimango basito rispetto al non intervento e al far finta di niente degli ultimi anni.
Degli ululati a N'Koulou e in Lazio-Torino del 2018 non si ricorda nessuno. Lo stesso calciatore aveva candidamente ammesso come: “Noi ci consideriamo fratelli di tutti, evidentemente per qualcuno non è così”, in riferimento all’episodio e alla vita in Italia. Ed ecco che tre anni più tardi, sempre nella stessa partita, accade un qualcosa di simile con Ola Aina. In concreto, nonostante supplementi di indagine e la promessa di agire, zero azioni concrete. Stesso discorso, almeno per il momento, per gli insulti rivolti a Vlahovic. Grazie alle telecamere di sicurezza (vedi quando si dice stadio all’avanguardia) si è risaliti a chi ha proferito i beceri oltraggi rivolti a Maignan. Discorso simile anche per colui che ha rivolto espressioni di cui vergognarsi verso Koulibaly. Per tali individui servono punizioni severe e l'ignoranza non può mai essere una giustificazione.
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