È arrivato un pareggio contro il Lecce, uno di quei classici risultati che non ci voleva. E che fa indispettire per i tanti fattori che lo hanno determinato: al di là della direzione di gara alquanto allegra del signor Piero Giacomelli capace di dare un rigore fidandosi della sua particolare prospettiva da prono e di annullare per chissà quale motivo un gol di Romelu Lukaku per via di un contrasto tra il portiere Gabriel e il difensore Cristian Dell’Orco, l’amarezza per quanto visto in campo è tanta. Perché possono esserci tante spiegazioni dietro questa frenata, fisiche, psicologiche e quant’altro; ma fa indubbiamente pensare il vedere un’Inter non riuscire a trovare contromisure efficaci al doppio muro eretto da Fabio Liverani per 71 minuti, e poi farsene bastare soltanto sei per mandare a carte quarantotto tutta la fatica fatta per trovare il gol del vantaggio. Paradossalmente, proprio nella fase in cui il tecnico giallorosso ha riportato la squadra nel suo assetto abituale. La mossa più classica diventa quindi quella che coglie tutti di sorpresa, come se si fosse sottovalutata la volontà della squadra di casa a non lasciarsi nuovamente sopraffare dal destino e far pagare all’Inter lo stesso dazio versato dalla Juve.
È arrivato un risultato deludente, sintetizzato da Antonio Conte con una battuta tanto stringata quanto efficace: “Se non corriamo sempre a 200 all’ora, non riusciamo a vincere e diventiamo una squadra normale”. Lo specchio di una realtà diventata evidente: con la squadra al massimo dei giri, sul campo l’Inter suona una sinfonia a tratti meravigliosa; ma soprattutto negli ultimi tempi quando anche solo un piccolo pezzo di questo meccanismo non gira come deve, ecco venire a galla le difficoltà. Difficoltà di un gruppo che ha dato tutto, anche quando tutti a disposizione non erano ed è una cosa che è successa fin troppe volte, una nenia che prosegue visto che Conte si augura di non avere infortuni e per tutta risposta si fa male alla caviglia Marcelo Brozovic. Nulla di grave, a quanto sembra, però la seccatura rimane se non altro perché va fuori la fonte del gioco, l’insostituibile per necessità tattiche e soprattutto per questioni di rosa, visto che suoi back-up nell’attuale roster non ce ne sono. E quindi, inevitabile anziché no, arriva il pensiero a questo benedetto o infausto mercato di riparazione, dipende dai punti di vista.
È arrivato qualche giorno fa il primo rinforzo invernale, il terzo elemento giunto in questa stagione dal Manchester United diventato ormai una sorta di mercato all’ingrosso: dopo Romelu Lukaku e Alexis Sanchez, si unisce al gruppo nerazzurro Ashley Young, ex capitano del Manchester United. Che all’Inter indosserà la maglia numero 15 come fece a suo tempo Nemanja Vidic, giunto all’Inter da free agent nel 2014 sempre dai Red Devils. L’auspicio è che i parallelismi poco felici possano finire qui: perché la carta d’identità non terrà proprio fede al suo cognome ma, come precisato anche nel geniale video di presentazione ai tifosi, il buon Ashley rimane se stesso anche alla soglia dei 35 anni, e soprattutto garantisce sulle sue condizioni fisiche, tali da potergli permettere di dare una mano importante in questi sei mesi di stagione. Così come dovrebbe fare anche il secondo nuovo arrivo, il fido scudiero di Antonio Conte, quel Victor Moses che proprio alle dipendenze di Conte al Chelsea visse probabilmente la sua migliore stagione in carriera. Arrivato ieri nel quartier generale nerazzurro per le firme al culmine di una giornata particolarmente fitta di incontri dedicati al presente e anche al futuro, l’ufficialità dell’arrivo del nigeriano è attesa dopo qualche ora che questo pezzo apparirà sui vostri schermi.
L’impiego di Victor Moses in questa prima parte di stagione col Fenerbahçe è stato piuttosto limitato a causa di svariati problemi muscolari. Eppure, negli approfonditi test medici effettuati dallo staff nerazzurro tra strutture sanitarie e centro sportivo di Appiano Gentile, accettati tra l’altro senza battere ciglio dal Chelsea, Moses ha fornito le garanzie giuste dal punto di vista fisico per poter essere dichiarato abile e arruolabile per questa tranche. E soprattutto, per legittimare l’operazione e le relative congetture finanziarie, quel particolare non di poco conto che, come giustamente ha sottolineato anche Beppe Marotta nel ventre del Via del Mare, si è sottovalutato per la trattativa che ha tenuto fin troppo banco nei giorni scorsi, quella per lo scambio tra Leonardo Spinazzola e Matteo Politano, conclusosi male tra giocatori costretti a fare i pendolari, tra la placida accettazione dell’uno e la rabbia malcelata dell’altro, e la differenza di vedute tra le due dirigenze: dettata dal pragmatismo quella nerazzurra, più sentimentale quella giallorossa, con un Gianluca Petrachi che parlando di Politano quasi intenerisce quando auspica di avere una mano tesa dall’Inter, anche perché, come ha detto lo stesso Paulo Fonseca, Spinazzola che ha giocato per forza e bene contro il Genoa causando un autogol (sì, come quello di postare le foto di Politano con la sciarpa giallorossa all’aeroporto) non può farne due di fila…
Lo sforzo economico, quello vero, semmai sarà destinato a quello ormai annunciato da più parti come il colpo per antonomasia, vale a dire l’arrivo di Christian Eriksen dal Tottenham. Una mossa per certi aspetti clamorosa, perché l’Inter, piuttosto che aspettare febbraio e magari fronteggiare una nutrita concorrenza pronta a piombare sul danese tesserabile a parametro zero, fiutata l’occasione pensa che valga bene spendere ora una certa somma di denaro pur di assicurarsi un giocatore dal talento indiscutibile e dall’esperienza internazionale inusitata. Malgrado un José Mourinho che fa finta di nulla ma la cui mimica facciale non pare esattamente quella di un pokerista, Eriksen pare ormai pronto a cogliere l’occasione fornitagli dall’Inter per lasciare un ambiente dove ormai è separato in casa, con una tifoseria che ormai lo ha definitivamente abbandonato. Il tifo nerazzurro, invece, già vola con la fantasia col danese in campo, ma non va sottovalutata una cosa.
I fatti dicono che Eriksen è ancora a Londra e a tutti gli effetti è ancora un giocatore degli Spurs, eppure il rumore soprattutto mediatico intorno a lui è già alto: già si parla di lui come dell’elemento che garantirà il salto di qualità, che specie vista l’assenza di Brozovic (che non dovrebbe essere lunga) è già da definirsi un insostituibile, quasi l’unica vera speranza per l’Inter perché non vadano definitivamente in fumo le ambizioni di Scudetto. Il tutto senza aver fatto i conti col fatto che questa sera Eriksen sarà a disposizione di Mou per la gara col Norwich e alla Serie A non ha ancora il diritto di pensarci, e col rischio di generare una pressione preventiva, indesiderata e sgradevole, verso un giocatore il cui impatto nel campionato italiano, e soprattutto a campionato in corso, sarebbe comunque tutto da verificare.
Tutti, per dire, abbiamo ancora negli occhi Wesley Sneijder, peraltro sotto certi aspetti giocatore assimilabile al danese, arrivare a Milano, giocare da titolare il derby 24 ore dopo e presentarsi con un missile da fuori che manda in predicato la sensibilità delle mani di Marco Storari; ma ogni giocatore ha caratteristiche sue, anche di ambientamento, e considerato che quello di Eriksen sarebbe comunque un investimento a lungo termine pretendere la luna da subito rischia di essere un boomerang, perché poi diventerebbe troppo facile non perdonargli qualche passo falso e bollarlo subito come un flop, sport troppo popolare dalle nostre parti.
Intervenuto sul palco del ‘Premio Brera’ per ricevere il premio speciale per l’Inter squadra tra quelle mai retrocesse, Beppe Marotta ha garantito che l’Inter non farà da comparsa per lo Scudetto. Parole importanti, ancor più arrivate nel momento in cui la Juve ha fatto il primo, sensibile allungo in vetta. L’Inter ha il diritto-dovere di provarci fino in fondo, e il potenziale arrivo di Eriksen serve anche a questo, a creare un gruppo ancora più consapevole di poter lottare nel medio termine verso obiettivi più elevati. Basterà non creare intorno a lui quell’aurea di aspettative eccessive, come quelle di chi vede in un salotto un vassoio di quei buonissimi e ipercalorici biscotti danesi sperando di assaggiarne uno e poi si lamenta perché dentro trova strumenti per il cucito. Diamogli prima il tempo di arrivare, semmai i biscotti sarà lui ad offrirli.
VIDEO - COME CALCIA TAHITH CHONG: UN CAMPIONARIO DI COLPI DA CAMPIONE
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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