A Kiev, dove nella stagione di grazia 2009-2010 arrivò una svolta epica per la Champions e la stagione nerazzurra, stavolta l'Inter non trova il cambio di passo rispetto a un'altra stagione, quella attuale, che ancora deve fornire l'esatta cifra di una squadra che sembra mancare soprattutto di cattiveria, agonismo e rabbia. Tutti aggettivi che, riferiti a una squadra allenata da Antonio Conte, suonano stonati. Eppure.
Eppure l'Inter, alla seconda uscita europea contro uno Shakhtar che una settimana fa aveva quasi ridicolizzato il Real Madrid, raccoglie il secondo pareggio di fila nel girone al termine di un match dove le due traverse colpite da Barella e Lukaku più l'occasione a porta vuota divorata clamorosamente da Lautaro potrebbero bastare e avanzare per far capire che in realtà i nerazzurri in terra ucraina hanno dominato. Ma non solo non è avanzato: non è nemmeno bastato per segnare, a fronte di un avversario che mai ha impegnato Handanovic. Ed ecco che volendo cercare a tutti i costi gli aspetti positivi, il secondo clean sheet di fila (a pochi giorni da quello col Genoa in campionato) non è aspetto poco rilevante per una squadra che nelle prime uscite stagionali incassava almeno due reti a gara. L'Inter sì, dunque, sembra essersi risistemata ed equilibrata dietro, ma ha pure smarrito, in compenso, il guizzo in avanti.
Lo spartito con cui lo Shakhtar ha preparato la sua partita è stato fin troppo chiaro: squadra cortissima, con linee strette in pochi metri, zero pressione e attesa dell'avversario, difesa alta e ricerca della ripartenza, che però i ragazzi di Conte sono stati bravi a a non concedere mai. E lo spartito prevedeva dunque che l'Inter con pazienza andasse alla ricerca del fraseggio, dell'uno contro uno, delle triangolazioni e degli scambi rapidi o comunque di un'accelerazione decisiva. Nel primo tempo lo ha fatto anche bene, dominando e costruendo 3-4 occasioni da gol nitide grazie anche a un vivacissimo Barella in versione "incursionista" nell'area avversaria. Gli inserimenti di Hakimi, D'Ambrosio e Young hanno aperto spazi alle spalle di una difesa attenta nel non arretrare ma non impeccabile se messa sotto pressione.
E i nerazzurri ci hanno provato a stanare un avversario raccolto e attento, ci hanno provato a farlo uscire dalla tana come dimostrato dai continui "gira, gira" gridati da Conte per spingere i suoi al palleggio in attesa dell'imbucata giusta. Ma a fronte di un ottimo primo tempo, nella ripresa è mancato il ritmo: Inter più lenta, timorosa, che non ha quasi mai cercato e trovato le giocate individuali che potevano aprire in due la gara. L'Inter si è fatta, col passare del tempo, "leggibile" e prevedibile. Inutili, invece, i cambi di Conte, quelli che potevano provare a dare la giusta sterzata: Perisic al posto di Lautaro è stato invisibile nel ruolo di seconda punta e poi inconcludente nel finale nel ruolo di esterno; Darmian, Eriksen e Pinamonti entrati nel finale non hanno nemmeno avuto il tempo di adattarsi al clima. La svista, semmai, sta nel fatto che l'Inter per tutto il secondo tempo ha dato l'impressione di non avere il passo giusto e se in panchina hai la fortuna di averla un po' di qualità, soprattutto quella dell'ancora incompreso danese, devi trovare il modo di metterla in campo prima e provare a farla valere di fronte a un avversario che raramente ha messo il becco oltre la propria metà campo.
L'Inter dunque resta ancora tutta da decifrare: il cammino europeo, come nelle due stagioni precedenti, è già complicato e quella svolta mancata in Ucraina dovrà arrivare nelle due sfide consecutive contro il Real Madrid. I problemi non risolti sono noti e stranoti: non si riesce ad accendere Eriksen e se non segnano i due attaccanti titolati (Lukaku specialmente) diventa difficile trovare nomi alternativi nel tabellino dei marcatori. E poi c'è un paradosso: sembra mancare qualità quando mai come quest'anno i giocatori di qualità l'Inter sembra averli. Le attenuanti non mancano: la dea fortuna non sorride a questa squadra che per le occasioni che crea avrebbe meritato più punti in questo inizio di stagione. Oltre al fatto che mai va dimenticato che stiamo vivendo, giocando e commentando una stagione folle, drammatica e per forza di cose alterata. Ma, come si diceva all'inizio, sembra mancare di cattiveria e ferocia nell'ultima giocata e nell'ultimo tiro. E il paradosso, un altro, è che in questi casi basta poco per riaccendere la fiamma. Tipo quel gol di Sneijder di 10 anni fa contro la Dinamo che aggiunse capitoli leggendari a una storia che sembrava scritta e destinata a un finale diverso. Stavolta le pagine da scrivere non mancano, tra paradossi da evitare e svolte da trovare.
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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