In questi giorni, la voglia di parlare a Milano e dintorni sembra ridotta al minimo sindacale. Così come sono ridotte al lumicino le occasioni di incontri lavorativi e sociali. In questi giorni così particolari e così difficili, la città, e non per colpe sue specifiche, vive in un clima da post-apocalisse: poca gente in piazza, strade quasi vuote al punto che magari si potrebbe improvvisare in loco una partita a pallone, se non ci fossero di mezzo praticamente limitazioni anche per quelle. La gente non va in strada, si sta adeguando alla pratica sotto certi aspetti piacevole, ma volendo anche un po’ straniante, dello smart working, termine più cool per definire quello che alla fine è sostanzialmente il lavoro a distanza, generalmente da casa. Sotto la Madunina, se non siamo a livelli da Silent Hill, si vive comunque in una situazione un po’ disturbante, roba che forse si era vista negli ultimi tempi solo sotto il famigerato regime di austerity degli anni ‘70.
L’applicazione dei decreti legge emanati dal Governo dopo una lunga e attenta valutazione effettuata insieme alla protezione civile per fronteggiare l’emergenza nata dal diffondersi dell’infezione di CoVid19 specialmente in Lombardia e Veneto, oltre a lasciare come ormai consuetudine quel retrogusto un po’ amaro di gestione molto all’italiana di questa emergenza nella mente di diverse persone, ha portato a dover sottostare ad una serie di limitazioni per i luoghi di aggregazione, in primis quelli sportivi, nelle regioni dove si sono verificati casi di persone colpite dal virus. Giocoforza, gli effetti si fanno sentire, in maniera anche pesante, sui campionati di calcio. Tutti.
L’Inter lo sta sperimentando in modo particolare sulla propria pelle: tra il rinvio deciso nel corso di una lunga serata di sabato della partita contro la Sampdoria, per trovare la ricollocazione della quale adesso si deve risolvere quasi un enigma della sfinge, si giocherà a parte chiuse anche la gara di Europa League contro il Ludogorets, con tutto il contorno di panico proveniente dalla Bulgaria dove addirittura il club di Razgrad è arrivato a fare delle richieste perlomeno esagerate, come se dovessero intraprendere un percorso di guerra tra l’aeroporto, lo stadio e l’albergo sede del ritiro. E si andrà verso le porte chiuse anche per la supersfida di domenica sera: qualora così andasse, e ci sono i presupposti perché ciò accada, paradossalmente, sarà un clima sereno quello che Antonio Conte troverà in quel di Torino nella sera del suo ritorno da avversario nella casa che grazie a lui ha accolto i primi trionfi della nuova era vincente bianconera. Sarebbe stato un prevedibile concerto di parole poco carine nei suoi confronti, questo gli sarà risparmiato ma ciò non toglie che comunque questa supersfida per la quale ci sarà collegato tutto il mondo si giocherà quasi certamente in un ambiente spettrale, non degna pubblicità del prodotto Serie A al di là di contingenze e indotti economici e tutte le sfumature.
Questo è il calcio ai tempi del coronavirus (lo dico una volta e non lo userò più, perché conscio di come questa frase sia ormai ampiamente inflazionata), dove si riesce a fermare quasi tutto del mondo del pallone, e se non si tratta delle partite in sé allora si bloccano le comitive dei tifosi. Ma anche nel calcio alle prese con questa situazione alquanto difficile c’è un sottobosco che continua a vivere serenamente e anzi non vuole saperne di prendersi delle pause, anche se il suo tempo, almeno per questa stagione, lo avrebbe ufficialmente fatto: quello del mercato. Che continua a tenere banco, tra voci che considerati tempi e modi rasentano oltremodo la fantasia e altre che invece sembrano già abbastanza concrete anche se ancora non sufficientemente mature. Bastano parole che più diplomatiche non si può di Andrea Agnelli, tanto per fare un esempio del primo tipo, per riaccendere la suggestione (probabilmente l’utopia) di Pep Guardiola sulla panchina della Juventus. Ma al tempo stesso, bastano poche parole, ma chiare e concise, di uno dei calciatori più forti e volendo anche più potenti del mondo, per rendere ancora più caldo il tema legato al futuro di una delle stelle di Antonio Conte.
La storia è ormai chiara: il Barcellona, molto probabilmente, dovrà fare i conti in estate con l’uscita di Luis Suarez e allora e già in caccia di un nuovo attaccante. E il nome in cima alla lista pare essere quello di Lautaro Martinez, l’attaccante argentino che pare aver trovato l’annata del definitivo boom dopo un primo anno in nerazzurro tra qualche alto e un po’ di bassi. In coppia con Romelu Lukaku, il Toro ha formato un tandem d’attacco implacabile, capace, almeno fino alle scorse settimane, di trascinare a suon di gol l’Inter nella sua corsa in campionato. Ma al tempo stesso, con le sue prestazioni ha rinfocolato l’attenzione del club catalano, che sembra intenzionato a puntare deciso sul ragazzo di Bahia Blanca. E se l’ex dirigente blaugrana Areido Braida si limita a instillare il dubbio rimandando il tutto a semplice opinione personale, decisamente più esplicito si è dimostrato, qualche giorno fa, Lionel Messi. Nel corso di un’intervista dalla lunghezza quasi di un’autobiografia rilasciata al Mundo Deportivo, l’asso del Barça, che conosce bene Lautaro per aver condiviso le recenti esperienze in Nazionale, pronuncia parole che suonano quasi come una chiamata diretta: “Magari potesse venire a giocare insieme a noi per darci una mano e lottare per tutti gli obiettivi. È spettacolare, ha qualità impressionanti, si vedeva che sarebbe diventato un grande giocatore. Ha molta qualità ed è completo”. Un elogio che non può non avere ripercussioni. Perché tutti sappiamo chi è Lionel Messi. E tutti sappiamo quanto la sua parola, in quel di Barcellona, sia sempre valida in termini di legge.
Detto in soldoni: se Messi vuole Lautaro al Barcellona, il Barcellona prende armi e bagagli e comincia a tessere la tela per vestire il Toro con una maleta, pardon, una camiseta blaugrana la prossima stagione. E sempre a proposito di soldoni, per agevolare il tutto i catalani sarebbero anche pronti ad andare oltre la clausola rescissoria di 111 milioni fissata nel contratto e magari a mettere sul tavolo anche qualche contropartita pur di agevolare lo sbarco in Catalogna. In tutto questo, però, c’è sempre da considerare l’altro stakeholder in questione, in questo caso un’Inter che comunque continua ad ostentare tranquillità, tra un Beppe Marotta che liquida la questione appuntando al petto del giocatore e del club come una medaglia le parole di Messi che per lui possono anche fare da pungolo per migliorare ulteriormente, e un Antonio Conte che si dice convinto che questi rumors non distraggono minimamente il suo uomo.
Ma in tutto questo, qual è la vera idea di Lautaro Martinez? Lui, almeno esplicitamente, non ha mai dato segnale alcuno di insofferenza o di volontà di lasciare Milano, dove si trova bene e dove comunque ha trovato l’ambiente giusto per il lancio a livello internazionale. Ma al di là delle forzature di chi vede nel continuo suonare le sirene ammalianti dalla metropoli iberica la causa principale del suo calo di rendimento delle ultime settimane, è inevitabile iniziare a capire entro breve tempo cosa vorrà fare del suo futuro. Ancor più per il fatto che i tifosi stessi non sembrano essere del tutto unanimi sulla cosa da augurarsi, tra chi chiede la permanenza a tutti i costi perché farsi sfuggire un campione così rischia di diventare l’ennesima occasione per mangiarsi i gomiti e chi invece non piangerebbe di fronte ad una sua partenza, specie se ben retribuita, perché non sarebbe il primo e di certo non sarà l’ultimo ad andare via. Rimproverando al giocatore anche qualche limite caratteriale, come testimonia ad esempio il giallo banale rimediato giovedì che gli costerà il ritorno dei sedicesimi di Europa League.
Il futuro di Lautaro Martinez terrà indubbiamente banco nelle prossime settimane, anche per capire se ci sarà un prolungamento del contratto, magari propedeutico ad un rafforzamento della propria posizione in fase di trattativa. Ma adesso, la cosa sulla quale deve concentrarsi il giocatore è il presente; perché i tifosi vogliono rivedere presto in campo il Toro devastante di metà stagione, che sembra essersi un po’ perso, e che torni a puntare e incornare le reti avversarie. E che quindi si tolga al più presto quel fastidioso sibilo, o per meglio dire, quella pulce che continua a imperversare nel suo orecchio.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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