Ieri pomeriggio, allo stadio Friuli, Walter Mazzarri ha dato una lezione a tutti. Me compreso. Anch'io infatti prima di questa trasferta ho pensato che la penuria di attaccanti sarebbe costata tantissimo a una squadra non certo in un momento di grande brillantezza. Poi, si sa, giocare a Udine è sempre difficile e lo stereotipo è servito sul piatto d'argento. La lezione Mazzarri non l'ha data solo all'ottimo Guidolin, che la scorsa stagione ha banchettato sulla tavola nerazzurra. L'ha data anche ai giornalisti e ai tifosi convinti che senza attaccanti non si possa andare lontano. In tante occasioni l'Inter vi ha rinunciato per scelta tecnica, nella fattispecie per destino scorbutico. Poco importa, la sostanza non cambia: questa squadra ha imparato ad attaccare anche senza prime punte, con il solo maestoso Palacio e altri coristi ai suoi fianchi. Ed è per questo che a Udine non si è fasciata la testa in anticipo.

Certo, il concetto che più attaccanti in campo equivalgano a maggiore pericolosità offensiva è assai radicato nel pensiero calcistico italiano. Ma per fortuna il pallone non è scienza esatta, quanto piuttosto mera praticità. Una squadra può essere pericolosa davanti anche con un attaccante, ce lo ha insegnato recentemente proprio Guidolin che con il solo immenso Di Natale per anni ha raccolto consensi e applausi. Mazzarri predica la stessa idea di calcio: si può offendere con continuità e insistenza a prescindere dai ruoli in campo, è una questione di elasticità mentale, di organizzazione di squadra, di mentalità. Se attaccano in 4-5 giocatori, non importa se si tratta di centrocampisti, di esterni o di mezze punte. La pericolosità resta ai massimi livelli e l'Udinese se n'è accorta. D'altronde 27 reti in 11 partite sono un bottino inattaccabile.

Non dimentico comunque i punti persi per strada, consapevole però del fatto che non si tratta di una questione di presenza o meno di più di un attaccante. Quando l'Inter si è fatta raggiungere, è stato per cali di concentrazione, disattenzioni difensive o incomprensioni tra i reparti. Ergo, si torna al discorso di base, il gioco di squadra. In attacco, come in difesa, tutti devono dare qualcosa. Se ciò non avviene entrambe le fasi ne risentono. Mazzarri ha avuto il merito di trasmettere, alla stessa squadra reduce da una stagione da schiaffi, questa idea di calcio applicabile a tutte le latitudini o longitudini. Si vince e si perde in undici, insomma, come direbbe il bravo e simpatico Pardo. Udinese-Inter è il manifesto di questa teoria, e se a gennaio arrivasse nuova gente di qualità, l'applicazione della stessa sarebbe assai più interessante. E Mazzarri la insegnerebbe ancora più volentieri. 

D'ora in avanti, dunque, è il caso di ricordare, in caso di defezioni, che non sono sempre gli assenti a fare la differenza, quanto chi scende in campo al loro posto. Il tutto è più della somma delle singole parti, lo sosteneva la Gestalt agli inizi del '900. Anche il calcio non si sottrae a questa espressione psicologica di teutonica origine. WM lo sa.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 04 novembre 2013 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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