Avanti, con la zavorra sulle spalle. Il punticino di Udine, dove il buon senso invitava ad aspettarsene 3, va accolto senza troppo entusiasmo e con la consapevolezza che ciò che sembrava facile in realtà non lo è. Illuso colui che, ciarlando di Inter, si prende il lusso di dare per scontata qualsiasi cosa, almeno facendo leva sulle proprie forze. Quattro pareggi nelle ultime 5 gare e la squadra è ancora lì a difendere il terzo posto, in altri tempi sarebbe già in vacanza e intenta a decidere se avesse senso qualificarsi per l'Europa League. Invece restano 3 partite, due in casa contro avversari ampiamente alla portata (anche se...) e in mezzo la trasferta di Napoli dove ancora bisogna citare Galante per tornare a parlare di una vittoria dell'Inter. Non c'è motivo per strapparsi i capelli, perché anche se possiamo sentire il fiato sul collo dell'Atalanta in ottica podio, la Roma si è suicidata dilapidando il lampo al buio di El Shaarawy. E un pensiero in tal senso va a Romero per un doppio regalo: contro l'Inter a Marassi rigore e superiorità numerica, ieri una boccata d'ossigeno pareggiando a tempo scaduto.
Tornando a Udine, si è visto il manifesto di questa Inter. Numeri alla mano, è stato dominio nerazzurro: 73% di possesso palla in trasferta, 9 angoli vs. 2, ma soprattutto 27 tiri in porta. Peccato che solo 4 (!) di essi abbiano inquadrato lo specchio e testato i riflessi di Musso. Forse è qui che va inquadrato il problema. Al netto di valutazioni sempre opinabili di Spalletti, soprattutto nella gestione della gara in corso e della prevedibilità della manovra offensiva (se gli esterni steccano, fatevi il segno della croce), è palese come la squadra riesca sempre a mettere la propria impronta sulla partita. In questi due anni spallettiani la mano del tecnico si è vista eccome. Sistemata la fase difensiva nella prima stagione, ora c'è un chiaro passo avanti nella costruzione del gioco, partendo dal basso e fino agli ultimi 20 metri. È lì che manca l'ultimo step per avere una squadra completa e concreta. L'identità c'è, la lacuna è nella fase decisionale sotto porta. Ma non è solo colpa degli offensivi (che, a dir la verità, non brillano per cinismo e precisione), anche da centrocampo si tende a prendere la strada sbagliata (non si verticalizza mai). Se il possesso palla non trova sbocchi nel blitz là davanti, rimane fine a sé stesso e mera questione statistica.
In attesa di concludere con il fiatone questa stagione, le strade da intraprendere per la prossima sono due: dar fiducia a Spalletti, in virtù dei passi avanti evidenziati e correggendo i limiti della rosa negli ultimi 20 metri con investimenti 'reali'; porre fine al progetto e iniziarne un altro con un nuovo allenatore, sperando che non dilapidi l'evoluzione delle ultime due stagioni senza pretendere la luna sul mercato (perché la luna è ancora troppo lontana). In entrambi i casi, la patata bollente è nelle mani di Marotta, che oltre a fare la scelta giusta dovrà convincere la proprietà che lo è. L'unica certezza è che sia a centrocampo sia in attacco qualcosa dovrà cambiare, perché oltre a limiti tecnici sussistono gap evidenti nella personalità, che non permette ad alcuni calciatori di esprimersi al meglio sotto pressione. Senza dimenticare che alcuni di loro negli ultimi mesi hanno messo davanti all'Inter il proprio interesse. Ed è inconcepibile.
Per la cronaca, nonostante una significativa fetta di tifoseria contraria, personalmente andrei avanti con Spalletti auspicando che in estate la dirigenza gli metta a disposizione la rosa più adatta alle sue esigenze e con meno limiti tra quelli sopra evidenziati. Ricominciare da zero stanca, soprattutto se non c'è la garanzia di sostenere economicamente un nuovo progetto. L'unico strappo alla regola sarebbe per José Mourinho: più che altro per l'iniezione di entusiasmo che sarebbe a un ambiente con la tendenza ad annichilirsi quando le cose non vanno per il meglio. Nessuno come lui avrebbe il credito necessario per portare avanti un nuovo progetto pur inciampando alle prime uscite. Altrimenti, avanti con Luciano e che la proprietà stia sul pezzo.
Senza tediarvi troppo contravvengo a una delle regole base di un editoriale tradizionale per raccontare un episodio occorsomi qualche giorno fa. Ero in una zona turistica del milanese e ho portato il mio secondogenito a prendere un gelato in un bar del posto. Essendo una gita, ero vestito con una maglia di allenamento dell'Inter di qualche anno fa (obviously), mentre mio figlio aveva al collo un laccetto porta badge nerazzurro. Al primo impatto visivo, il barista, un uomo con accento molto locale mi offre il 'cinque', accompagnandolo con un 'Forza Inter'. Io ricambio e mostro, con orgoglio, l'ornamento al collo del bimbo. E giù complimenti e incitamento anche per lui. In conclusione, e non mi era mai successo, non abbiamo pagato i due gelati che avevamo portato in cassa. E il barista, salutando mio figlio, gli fa una raccomandazione: "Mi raccomando, non cambiare mai!".
Ecco, è un episodio che mi ha fatto pensare all'essere interista. Certo, poteva succedere anche con altri tifosi e in altri posti, ci mancherebbe. Ma a me è successo davvero. Magari quella persona così solare è un assiduo frequentatore della Curva, magari è solo un tifoso da divano. E pensando alle diatribe delle ultime settimane, agli scontri verbali sui social o in rete, agli insulti allo stadio, mi è sembrato tutto così ridicolo, inutile, dannoso soprattutto. Ognuno ha una propria idea sui giocatori, sull'allenatore, sulla proprietà, sulla dirigenza, sulle prestazioni dei singoli e sul loro comportamento fuori dal campo. E capita di discuterne, di scontrarsi. Ma alla fin fine, ed è quello che conta, tutti vogliamo la stessa cosa, vedere l'Inter vincere, magari giocare bene, ma soprattutto una squadra che trasmetta emozioni, che ci unisca nelle nostre diversità di opinione sotto un'unica bandiera. Sarà banale retorica, ma quel gesto nel suo piccolo è stato concreto. E mio figlio ha potuto toccare con mano, forse per la prima volta, cosa voglia dire essere interisti. Qualcosa che vale molto di più di un gelato.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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