Non basta un derby perso per uccidere questa Inter. L’Inter non è morta. La dimostrazione è arrivata subito, alla prima occasione offerta da un calendario fitto di impegni (e di avversari di prima fascia) che nel mese di febbraio metterà in luce le vere ambizioni del Biscione. Dopo il ko contro il Milan, arrivato dopo 70’ di dominio, in tanti non hanno perso tempo per puntare il mirino sui cambi di Inzaghi, sulla difesa che scricchiola, sull’attacco che spreca. Dimenticando lo storico dei nerazzurri - che hanno il miglior attacco della Serie A e la seconda miglior difesa - in questa stagione: primi in campionato (con un partita in meno), agli ottavi di Champions League e, da ieri sera, con un biglietto in mano per le semifinali di Coppa Italia. Nonostante gli ultimi eventi avversi: dall’amara sconfitta firmata Giroud fino alle discutibili decisioni del Giudice Sportivo, che a poche ore dall’appuntamento di San Siro ufficializzava le due giornate di squalifica per Alessandro Bastoni e il turno di stop per Inzaghi (oltre alla multa inflitta a Lautaro Martinez, e non per un fantomatico sputo al rivale Theo Hernandez diventato virale sui social).
Contro la Roma a non perdere tempo, però, è stata l’Inter. Perché serviva reagire, mettere a tacere le eccessive critiche piovute negli ultimi giorni e rimettere le cose in chiaro. Pronti via, due minuti sul cronometro bastano e avanzano per vedere lo splendido triangolo Perisic-Sanchez trasformato in oro dal cross perfetto del croato e dal piattone al volo di Edin Dzeko, l’ex che non perdona il suo vecchio amore come già accaduto a margine della lezione di calcio offerta a domicilio all’Olimpico a inizio dicembre. Ci sarebbe spazio anche per il 2-0 lampo dopo appena 5’, ma il violento destro da fuori Barella spacca la traversa. Un tiro ‘alla Stankovic’, che magari ha indirettamente ispirato il gioiellino sardo con le parole rilasciate ai microfoni di Inter TV nell’immediato pre partita: “Chi può essere il mio erede in questa Inter? Sono tempi diversi, ma Barella è uno che mette passione, è un leader in campo. Mi piace, ha il tiro, è un giocatore box to box, lavora per la squadra e si fa sentire” l’ammissione di Deki. E Nic ha risposto con la corsa, con la grinta, con i tentativi da fuori stoppati solo dai legni o da guantoni di Rui Patricio. Nel complesso l’Inter ha controllato e gestito la gara, ha sofferto quando c’era da soffrire e ha poi colpito quando andava fatto. Senza pietà, con un gol per tempo. Prima il graffio spacca-match del Cigno, poi la perla di Alexis Sanchez nel momento migliore della Roma: una sassata da fuori area, quasi da fermo, che spegne la sua corsa all’incrocio dei pali e taglia definitivamente le gambe alla Lupa. Il 2-0 di San Siro permette ora all’Inter di guardare con più fiducia e consapevolezza alla complicata trasferta di sabato contro il Napoli, serata di gala che anticipa quella dal fascino europeo che metterà la banda di Inzaghi davanti al Liverpool. Ma è giusto ragionare gara dopo gara, procedere step by step. Sperando magari in un miracoloso recupero in tempi record di Bastoni, bloccato dal Giudice Sportivo e ora anche dalla sua caviglia destra che verrà rivalutata nelle prossime ore dopo il trauma distorsivo.
Quella di San Siro è stata anche la serata di José Mourinho, tornato per la prima volta ad indossare i panni dell’ex nel palcoscenico in cui è stato l’indiscusso attore protagonista dall’estate del 2008 fino al 22 maggio del 2010, quando salutò il Biscione tra le lacrime - ed un simbolico abbraccio a Materazzi - dopo la storica Champions League alzata sotto il cielo di Madrid che iniziava pian piano ad abbassare il sipario sul ciclo nerazzurro con il magico anno del leggendario Triplete. Da quella notte son cambiate tante cose, sia per l’Inter che per José, che da amici son diventati (sportivamente) nemici. Ma la gente non dimentica e non può dimenticare le gesta di uno dei condottieri che ha scritto la storia recente. E allora ecco spuntare sulle tribune del Meazza maglie ad hoc, la scritta ‘Triplete’ e gli striscioni con dedica, accompagnati dagli immancabili cori pro-Mou. “Il modo in cui mi hanno aspettato qui Zhang, Marotta e Zanetti, il regalo, la gente che mi ha aspettato: posso solo dire grazie e non nascondere mai il mio rapporto eterno con l'Inter. Una cosa che si sente” ha detto a Mediaset dopo il triplice fischio, aggiungendo poi di aver riassaporato “un San Siro bellissimo, fatto di argento e cristallo, in cui c'è scritto che questo stadio è sempre casa mia”. E allora bentornato a casa Mou. E bentornata Inter.
Stefano Bertocchi
Autore: Redazione FcInterNews.it / Twitter: @Fcinternewsit
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