Nelle partite di calcio tra amici succede che qualcuno prenda e se ne vada dal campo arrabbiato, perché non gli passano la palla o perché se le prendono con lui per degli errori.
Gli amici lo rincorrono e gli chiedono di tornare, lui fa valere le sue ragioni, qualcuno ride e gli dice di non fare il bambino e alla fine questo torna, non senza però minacciare nuovamente di andare via definitivamente dal campo.
Vi ricorda qualcosa?
Parto subito con la premessa che non si può andare dietro a tutte le parole di Antonio Conte, alle giravolte, alle mezze frasi e a quelle nette con destinatari senza nome e cognome, alle frasi spazientite, unite a verità oggettive da affrontare.
Conte sembra non avere tempo, lotta contro di esso, usa una scimitarra come unica soluzione per abbattere chi si frappone tra sé e il raggiungimento dei suoi scopi ma il calcio non è un dato fisso, al contrario è un prodotto di una complessa molteplicità di variabili. Lui sembra non voler abitare i suoi limiti e si rifugia dentro a giustificazioni plausibili che andrebbero affrontate da dentro la società, con pazienza e rispetto dei ruoli, con determinazione e abilità politica.
Un lavoro che può portare a grandi rivoluzioni culturali, quelle che l’umanità da sempre sottovaluta, concentrandosi solo sul risultato e mai su come questo può maturare.
Il tecnico è arrivato e, come scrivevo a inizio stagione, la sua rivoluzione culturale l’ha fatta partendo dal modulo a tre, per poi passare all’eliminazione dell’inno 'Pazza Inter', indicato come nocivo per l’identità della squadra, ha escluso giocatori forti ma 'tossici' per la serenità del gruppo come Nainggolan e Icardi, si è poi sbarazzato di Perisic, ha messo in difficoltà e infine escluso Skriniar, rinunciato a Godin e rinnegato l’acquisto eccellente di Eriksen, sistemandolo sempre in panchina.
Ha però lanciato Bastoni, insistito per Lukaku, creato un’identità nel gioco, portato la squadra ad un eccellente secondo posto, pur non essendo mai realmente vicino allo scudetto e ottenuto la finale di Europa League.
Lopetegui ha battuto Conte anche da un punto di vista tattico e questo nel suo animo deve saperlo, perché un grande allenatore, un vero uomo deve saper abitare i propri limiti, senza scomodare “Se” di Rudyard Kipling.
L’Inter nella finale col Siviglia ha giocato senza serenità, ben al di sotto del suo standard: una difesa che prende due gol di testa, oltre a uno su rovesciata con un giocatore lasciato libero di fare quello che voleva, sono la dimostrazione di un’inattitudine mentale.
Tra l’altro i gol presi sono identici a quelli che il Siviglia aveva fatto al Manchester United, a dimostrazione che forse non erano stati fatti bene i compiti a casa. Ci sta anche questo nella crescita, ma Conte a fine partita ha ripreso il minuetto e stabilito di aver più di un piede fuori dall’Inter. I motivi possono essere più o meno validi ma la storia di questo allenatore parla di troppe turbolenze e addii improvvisi, dichiarazioni smodate, abbandoni di progetti e contrasti laceranti.
Nel percorso dell’allenatore i fatti dicono che si è configurato uno scenario che lo ha irritato definitivamente come quando era a Bari, Bergamo, Torino, in Nazionale e a Londra.
Noi non possiamo andare all’archeologia della personalità ferita ma certamente una pallottola arrivata in busta destabilizzerebbe chiunque, specie se la notizia invece di essere tenuta riservata viene rivelata da qualcuno che lui indica in società.
Conte infatti chiede alla proprietà l’esclusione definitiva di uno o più dirigenti, perché parlano sempre troppo con la stampa e rivelano fatti che dovrebbero restare in casa, pretende il cambio di mentalità nella gestione politica di un club da sempre attaccato mediaticamente, senza che questo reagisca con fermezza o attuando una strategia, così anche nei rapporti con il governo del calcio, come dimostra la stesura dei calendari che hanno penalizzato l’Inter e verso i quali auspicava una reazione più decisa da parte dei vertici.
Le sue ragioni, interessanti e valide vanno però a frantumarsi nel momento in cui prende e se ne va. Le grandi battaglie durano a lungo e si vincono solo se c’è un’autentica convinzione. Andarsene sarebbe un gesto infantile, privo di responsabilità a così pochi giorni dall’inizio della nuova stagione. Oggi la società e dunque anche il calcio è diventata liquida, i protagonisti sono corsari e i club cambiano, cambiano, cambiano e continuano a vivere la realtà delle cose vivendo un eterno presente, come se il passato non contasse e il futuro fosse una banale programmazione del calciomercato per l’anno successivo.
Preferivo restasse Conte perché l’Inter non riesce ad avere una continuità tecnica da tanto tempo, se poi arrivasse Allegri si tratterebbe di un allenatore capace eccetera ma ne parleremo senz’altro dopo martedì.
Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 24 agosto 2020 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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