Si è giocato la scorsa settimana, nella cornice dello Juventus Stadium, il derby d’Italia, terminato con il punteggio di 3 a 1 per i ragazzi di Stramaccioni; un risultato che, al di là dei numeri, ha una triplice valenza: (i) interrompere la striscia di 49 risultati utili consecutivi per la Juventus; (ii) rappresentare la prima sconfitta interna della Juventus nel suo nuovo stadio e, soprattutto, (iii) mettere a tacere le innumerevoli polemiche che avrebbero fatto seguito ad un arbitraggio non all’altezza dell’importanza della gara.

E’ il 34° minuto del primo tempo, quando il difensore bianconero Lichtsteiner, già ammonito per un fallo su Cambiasso, entra duro su Palacio, scaraventando a terra l’esterno argentino.
Il tutto accade vicino alla linea del fallo laterale e a pochi metri dal guardalinee Preti, lo stesso che, dopo soli 18 secondi di gioco, omette di segnalare il macroscopico fuorigioco dal quale origina il gol di Vidal che sblocca il risultato.
La violenza del fallo è evidente: il difensore juventino entra sull’avversario da dietro, in maniera scomposta e con la gamba sollevata, al fine di impedirne la ripartenza.
L’arbitro Tagliavento, circondato dai giocatori di entrambe le squadre, fischia il fallo senza assumere alcun provvedimento disciplinare nei confronti del giocatore bianconero che, di lì a poco, sarà saggiamente sostituito dal suo allenatore.

All’indomani della partita, dei molti errori commessi dalla terna arbitrale, fortunatamente sterilizzati dall’esito del match, a far discutere non è tanto il gol di Vidal, quanto la mancata espulsione di Lichtsteiner. Troppo evidente per non essere vista; talmente evidente che anche il Presidente della FIGC, Giancarlo Abete, istituzionalmente super partes, ha accolto, suffragandolo, il pensiero del Presidente Massimo Moratti.
Ma allora, se il fallo c’era; se meritava almeno l’ammonizione; se il provvedimento disciplinare avrebbe dovuto determinare l’immediata espulsione del giocatore juventino (per somma di ammonizioni) e la conseguente impossibilità di partecipare alla successiva gara di campionato, come è mai possibile che tutto «passi in cavalleria» e che un comportamento così violento e antisportivo, visto da tutti e da tutti giudicato tale, resti impunito?

Per ottenere una risposta, dobbiamo volgere la nostra attenzione al Codice di Giustizia Sportiva (CGS) e, segnatamente, all’art. 35.
Tale norma prevede espressamente che, in ordine alle infrazioni commesse nel corso dello svolgimento delle gare, «i rapporti dell’arbitro, degli assistenti, del quarto ufficiale e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa il comportamento di tesserati».
Al termine di ogni partita, il direttore di gara, coadiuvato dai suoi assistenti, procede alla redazione di un verbale, nel quale sono dettagliatamente riportati gli episodi salienti della partita, che assumono rilievo per il CGS al fine della comminazione di eventuali sanzioni. Il verbale, consegnato agli organi di giustizia sportiva competenti, costituisce, quindi, il riferimento documentale per i provvedimenti disciplinari che i predetti organi assumeranno.
Non casuale è l’adozione dell’espressione «piena prova», con la quale il Legislatore ha inteso attribuire al rapporto predisposto dall’arbitro una valenza probatoria assoluta – e non meramente indiziaria – così impedendo, di riflesso, a chi ne avesse avuto interesse, di ricorrere a meccanismi probatori alternativi, al fine di smentire o confutare la parola dell’arbitro.
Sennonché, negli ultimi anni, lo sviluppo della tecnologia delle immagini e l’incremento delle postazioni televisive dedicate alla produzione e alla trasmissione delle partite di calcio hanno reso immediatamente visibili situazioni di gioco che altrimenti sarebbero potute sfuggire all’occhio umano, di fatto costringendo la giustizia sportiva – tradizionalmente refrattaria all’uso della tecnologia – ad adeguarsi a tali novità.
Così, l’art. 35, nella sua attuale formulazione, attribuisce agli organi della giustizia sportiva la facoltà «di utilizzare, quale mezzo di prova … anche riprese televisive o altri filmati che offrano piena garanzia tecnica e documentale», qualora da tali riprese si evinca chiaramente «che i documenti ufficiali indicano quale ammonito, espulso o allontanato soggetto diverso dall’autore dell’infrazione»; e ciò «al solo fine dell’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti di tesserati» che si sono effettivamente resi responsabili del comportamento che ha condotto al provvedimento (rivelatosi poi errato) dell’arbitro.
La seconda eccezione alla efficacia probatoria del referto del direttore di gara è prevista con riferimento «ai fatti di condotta violenta o gravemente antisportiva o concernenti l’uso di espressione blasfema, non visti dall’arbitro»: per episodi di questo genere, l’art. 35, co. 3°, CGS stabilisce che «la società che ha preso parte alla gara e/o il suo tesserato direttamente interessato dai fatti sopra indicati hanno facoltà di depositare presso l’ufficio del Giudice sportivo nazionale una richiesta per l’esame di filmati di documentata provenienza» e che «il Procuratore federale fa pervenire al Giudice sportivo nazionale riservata segnalazione».

Se, quindi, da un lato, la c.d. prova televisiva può essere adoperata quale strumento di valutazione dei comportamenti tenuti dai calciatori sul terreno di gioco, dall’altro lato si deve, però, ridimensionarne la portata, atteso che le riferite disposizioni normative le attribuiscono un ruolo del tutto residuale ed eventuale, subordinato (i) ad un oggettivo errore dell’arbitro – che si sostanzia in uno scambio di persona – ovvero (ii) alla omessa visione del fatto da parte dell’arbitro che, per ciò solo non ha assunto alcuna decisione.
In mancanza di tali presupposti, le immagini televisive non possono trovare ingresso nei procedimenti della giustizia sportiva, dovendo, ogni decisione e provvedimento disciplinare, essere assunto solo ed esclusivamente sulla base del verbale predisposto dall’arbitro.

In occasione del fallo di Lichtsteiner ai danni di Palacio, l’arbitro ha visto l’azione, ha fermato il gioco ed ha concesso il calcio di punizione di favore dell’Inter; e ciò basta per impedire l’utilizzo della prova TV, anche se la sua decisione è risultata evidentemente erronea nella parte in cui non è stata accompagnata dall’ammonizione del difensore juventino.
Lo stesso è a dirsi per l’ormai famoso gol di Muntari: anche in quella occasione, la decisione dell’arbitro – sì, sempre Tagliavento – impedì il ricorso alla prova televisiva.

Il senso di ingiustizia che il tifoso, qualunque sia il colore della sua sciarpetta, avverte in situazioni come questa deve fare i conti con precise opzioni di natura politica.
Mentre numerosi sport accolgono con favore l’uso della tecnologia, le istituzioni mondiali del calcio sembrano poco inclini a dare ingresso a replay e microchip sui campi di gioco (benché, va detto, qualcosa si stia muovendo).
Oggi è l’arbitro che decide: il suo discrezionale giudizio accompagna il suo fischio, per punire un fallo, per segnalare un fuorigioco, per decretare un gol.
E’ questione di attimi, di frazioni di secondo: la palla entra, l’arbitro fischia e corre verso il centro del campo mentre l’urlo gioioso della gente festante sale verso il cielo.
L’introduzione della tecnologia eliminerebbe senz’altro molti errori e molte sviste, ma rischierebbe forse di falsare le nostre emozioni, se quell’urlo gioioso, prima di esplodere verso il cielo, dovesse attendere che un pool di giudici osservi e riosservi le immagini per capire cosa è successo.
E allora, forse, conviene tenercelo così, questo nostro calcio.
Se poi finisce sempre 1-3, va bene anche Tagliavento.


* Luigi Ammirati esercita la professione di avvocato tra Roma (sede principale in Via Marcello Prestinari n. 15) e Milano (sede secondaria) ed è specializzato in diritto civile, con spiccata attitudine, tra l’altro, al diritto dei contratti, al real estate, alla intermediazione e alle figure affini, alla tutela dei diritti della personalità e al diritto delle successioni.
Ricercatore universitario nell’Università Tor Vergata di Roma e docente di istituzioni di diritto privato presso altre istituzioni, Luigi Ammirati ha superato a settembre, al primo tentativo, la prova di idoneità per agenti di calciatori ed organizza a Roma, presso il suo studio, corsi pratici e teorici per la preparazione all’esame agenti dei calciatori della FIGC.

Sezione: Calcio & Diritto / Data: Mar 13 novembre 2012 alle 15:10
Autore: Luigi Ammirati
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