La nostra storia inizia nel classico quartiere sudamericano, dove povertà e criminalità la fanno da padroni. Siamo a Santiago di Cile, nel 1967: più precisamente è il 18 gennaio quando viene alla luce uno dei calciatori più amati della storia del Sud America: Iván Luis Zamorano. La sua una famiglia vive in uno dei quartieri più poveri della città e di soldi non se ne portano a casa molti. Il piccolo Ivan cresce in contesto sociale molto difficile che senza il pallone lo avrebbe portato in chissà quale altro pianeta. Grazie al padre, che non mancava mai di portarlo con sé a vedere le partite, inizia ad apprezzare il mondo del calcio: Luis Zamorano è infatti tifosissimo del Colo Colo. È la squadra del popolo, di coloro che si oppongono al regime dittatoriale di Pinochet, e che ideologicamente rispecchia perfettamente l’ambiente dove Ivan cresce. Andando allo stadio con il papà, rimane affascinato da un calciatore che diventerà il suo idolo: Carlos Humerto Caszely, una leggenda del club bianconero. Vedendolo giocare capisce cosa vuole fare da grande e inizia a coltivare il suo sogno giocando nei campetti vicino a casa. All’età di 13 anni però Ivan deve però far fronte ad un evento tragico e inaspettato: il padre scompare improvvisamente. La vita del ragazzo è sconvolta, per lui il padre era tutto. Zamorano si trova così di fronte alla sliding door della sua vita: decide di iniziare a lavorare e aiutare la madre a portare avanti la famiglia. La madre però si oppone, è ancora troppo giovane e andando a lavorare non riuscirebbe mai ad andare via da Santiago per cercare una vita migliore. Ivan può così dedicarsi al raggiungimento del proprio sogno: diventare un calciatore professionista e realizzare il desiderio del padre. Poco prima del drammatico evento, Luis era infatti riuscito a esprimere un desiderio: vedere il proprio figlio con la maglia della squadra che tanto amava. E Ivan avrebbe fatto qualsiasi cosa per farlo diventare realtà.
IL PIDOCCHIO DEL GOL - Il primo impatto con il mondo del calcio però non è un granché. Ivan non ha fisico e per giunta non è nemmeno troppo alto, tanto che i suoi compagni di classe lo avevano soprannominato il “pidocchio”. Riesce però a trovare un posto ad El Salvador, nelle giovanili del Cobresal, con cui nel 1985 esordisce nella prima divisione cilena. La stagione successiva viene prestato al Trasandino, club di seconda divisione, dove segna 27 reti in sole 29 partite. I dirigenti del Cobresal si rendono conto di avere tra le mani un grande giocatore e decidono così di riportarlo a casa. Con la maglia dei Mineros riesce a conquistare l’unico trofeo della carriera in patria: nel 1987, trascinando la squadra a suon di reti, porta il club al trionfo nella Coppa di Cile.
UN SALTO IN SVIZZERA - Le sue prestazioni non sfuggono agli osservatori europei e arriva la chiamata del Bologna che però, come nella più classica delle storie, dopo averlo visionato in prova, decise di puntare sul suo connazionale Rubio. Snobbato anche dai grandi club, l’unica squadra a proporgli un contratto è il San Gallo. In Svizzera Zamorano si fa accompagnare dalla madre Nelly, che sarà fondamentale nell’ambientamento in Europa del ragazzo. L’esperienza elvetica è determinante per la crescita del giovane calciatore, che in due anni sigla 38 gol in 61 presenze, vincendo anche il titolo di capocannoniere del campionato. Una particolarità: molti dei suoi gol arrivano di testa e, come spiegherà lo stesso Zamorano a fine carriera, forse, quei pomeriggi passati in casa ad allenarsi a prendere a testate il lampadario, avevano funzionato.
ALLA CONQUISTA DEL BERNABEU - Le sue due straordinarie stagioni non passano certo inosservate ed è il Siviglia ad accaparrarsi il giovane cileno nel 1990. Zamorano continua a segnare con continuità e diventa celebre in tutta Europa per i suoi colpi di testa e l’incredibile elevazione. Nel 1995 arriva la telefonata che ogni giocatore vorrebbe ricevere: per lui c’è il Real Madrid. Il Siviglia incassa una cifra vicina ai 7 miliardi delle vecchie lire e Zamorano diventa un giocatore dei Blancos. Erano passati 7 anni da quando nel 1985 aveva esordito nel calcio professionistico e Ivan poteva già dire di essere arrivato. Ma non era da lui, sarebbe stato un peccato buttare tutto quello che aveva fatto finora. I primi tempi non ebbe un gran rapporto con Valdano e come lui stesso raccontò fece molta fatica per inserirsi, ma alla fine divenne titolare nel Real Madrid. Ivan era, in fondo, ancora lo stesso ragazzo che si allenava con il lampadario in Cile, dalla eccezionale forza di volontà. A Madrid, in un periodo di vacche davvero magre quanto a trofei, conquista una Liga, una Coppa del Re e una Supercoppa Spagnola oltre a laurearsi “Pichichi” nel 1995. Uno dei momenti che non dimenticherà mai è la sera dell’ 8 gennaio 1995: al Bernabeu arriva il Barcellona e Zamorano segna una tripletta nel 5-0 finale.
MILANO, IL FENOMENO E IL MONDIALE - Nel 1996 si chiude la felicissima parentesi spagnola: si fa sotto l’Inter di Moratti che lo porta a Milano per 4 miliardi, diventando il primo cileno a vestire la casacca nerazzurra. La prima stagione è tutto sommato positiva con Ivan che diventa subito idolo indiscusso dei tifosi e non poteva essere altrimenti. Le sue umili origini non le dimenticherà mai e sa benissimo che ogni giorno bisogna sempre lottare per meritarsi quello che si ha. Parole come appagamento o arroganza probabilmente non sa nemmeno cosa significhino: lui è uno del popolo e lo rimarrà sempre. La stagione successiva in coppia con Ronaldo fa davvero faville. Arrivano il celeberrimo secondo posto in campionato e la Coppa Uefa a Parigi nella finale contro la Lazio dove Ivan segna il gol che sblocca la partita. Al termine della stagione partecipa con la sua Nazionale ai Mondiali del 1998 in Francia: con il laziale Salas forma una delle coppie offensive più forti del panorama internazionale.
IL PIU' CHE FA LA DIFFERENZA - L’arrivo di Ronaldo all’Inter non gli aveva tolto spazio sul campo, ma aveva portato qualche frizione sul numero di maglia. Il fenomeno brasiliano aveva sempre indossato la casacca numero 9, tanto che la Nike aveva creato un apposito marchio, la R9. Tuttavia al suo arrivo a Milano quella maglietta era già di proprietà del cileno, così Ronaldo la prima stagione prese il numero 10. La stagione seguente sotto spinta della Nike chiese il numero 9 a Zamorano, che non ebbe problemi a cederglielo, dato l’ottimo rapporto che avevano instaurato i due nel corso dei mesi. Ivan però non voleva accontentarsi di un numero qualunque, in quanto essere un grande goleador era parte integrante del suo Dna. Così inventò qualcosa che rimase nella storia: scelse il numero 18 e fece inserire “+” tra le due cifre. Il messaggio era chiaro: qualunque maglia avesse indossato, lui sarebbe sempre rimasto un vero attaccante, un numero 9. La trovata fece scalpore, inorridire i puristi, ma la sua divisa andò a ruba: ancora oggi è ancora una delle più ricercate nel mercato dei collezionisti.
IN LACRIME DAVANTI ALLA TV - Zamorano rimane un giocatore nerazzurro fino al 2001 e purtroppo di soddisfazioni sul campo non ne arrivano molte. Gioca con Djorkaeff, Baggio, Vieri e tanti altri grandi campioni con cui non solleverà più nessuna coppa. Con il passare del tempo vede anche sempre più spesso la panchina, ma non si ricorda una polemica né difetto di impegno quando viene chiamato all’azione. Chiude la sua esperienza nerazzurra con 41 gol in 149 presenze e sarà un periodo che rimarrà per lui indelebile. La città di Milano e i tifosi dell’Inter non li dimenticherà mai, saranno sempre parte del suo cuore, tanto che il 22 maggio del 2010 quando il suo vecchio compagno Zanetti alza la Champions League a Madrid, lui piange di gioia davanti al televisore.
IL CORONAMENTO DEL SOGNO - Lasciata l’Italia ad Ivan resta ancora un obbiettivo da raggiungere, che realizzerà solo due anni dopo. Dal 2001 al 2003 veste la maglia del Club America in Messico, dove continua a fare gol a grappoli, e vince nel 2002 il torneo Clausura. E’ nel 2003 che riesce finalmente a coronare il suo grande sogno: per qualche mese, prima di appendere gli scarpini al chiodo, veste la maglia bianconera tanto cara al padre, quella del Colo Colo. Zamorano, a 36 anni, sigla gli ultimi 8 gol della sua carriera in 14 partite, facendo diventare realtà il desiderio del suo primo tifoso, che di sicuro ne sarebbe stato fiero ed orgogliosissimo.
AMORE SENZA FINE - La sua corsa giunge così alla fine: capisce che è il momento giusto di dedicarsi alla famiglia e lasciare il calcio giocato. Il bilancio finale è di 348 gol in 664 presenze contando anche la Nazionale cilena, con cui riesce a eguagliare il numero delle presenze del suo idolo Caszely. Testimonianza perfetta del duro lavoro che viene ripagato, calciatori ma soprattutto uomini come lui, sono una rarità nel mondo moderno. Dovunque ha giocato è ricordato con piacere ed affetto dai tifosi, ma nessuno lo ha amato (e ancora oggi lo ama) come i supporter della Beneamata.
Autore: Andrea Mastromarchi / Twitter: @mastro_90
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