Gabriele Gravina, presidente della FIGC, ha parlato ai microfoni de L'Espresso. Di seguito le parole raccolte da Calcio e Finanza: «Quando nel mondo del calcio sento dire: “Noi creiamo ricchezza”, mi permetto di dire: “Però anche debiti”. Purtroppo il settore ha un indebitamento che oscilla ormai intorno ai 5 miliardi di euro, quindi c’è una confusione incredibile tra il concetto di crescita e il concetto di sviluppo. La crescita riguarda un valore assoluto. Lo sviluppo implica un concetto relativo ba sato su valutazioni soggettive. Sviluppare significa “togliere dal viluppo”, quindi crescere tenendo sotto controllo i costi. Altrimenti, se tu cresci, aumentano i costi e, sforando la crescita, tu fallisci".

«Plusvalenze? Credo che ogni azienda debba fare plusvalenze, ma bisogna fare quelle giuste. Bisogna evitare le alchimie e puntare alle plusvalenze reali. Perciò serve il patrimonio, costituito dalle infrastrutture, che consente di avere anche uno sviluppo dei settori giovanili. Infrastrutture e settori giovanili sono i due asset che in Italia non abbiamo, rispetto ad altri Paesi. Quindi la criticità di tutto il sistema calcio è un rapporto altissimo tra valore della produzione e costo del lavoro: in aziende di altri comparti oscilla intorno al 30 per cento, in altre realtà calcistiche al 50, in Italia quasi al 90. Siamo completamente fuori rotta. L’altro problema è che non riusciamo a patrimonializzare. Il patrimonio qual è? Non è il calciatore, che è un bene strumentale. Il patrimonio, appunto, è rappresentato dai settori giovanili. Il circolo virtuoso, allora, è valorizzare i giovani che generano plusvalenze e le infrastrutture che consentono la valorizzazione stessa dei giovani e permettono attività economiche di produzione reale nell’ambito di un’organizzazione. Noi, invece, questo ancora non l’abbiamo capito. Purtroppo».

«Se mi sento sulla graticola? No, assolutamente. Ascolto volentieri i consigli delle persone che sono in buona fede ed è chiaro che il fatto di legare un’attività politica a un risultato sportivo la dice lunga su alcune scelte. Credo molto nei principi della democrazia. Se il mio consiglio federale e se la base elettorale non dovessero avere fiducia nella mia attività politica, andrei via immediatamente. Ma non sono i detrattori che votano e io continuo a lavorare per il bene del calcio italiano. Io devo rispondere alla gente che continua a darmi fiducia, che crede in quello che stiamo facendo. Quando verrà meno questa fiducia, andrò via. Ma fino a quando questa fiducia ci sarà, io andrò avanti per la mia strada».

Sezione: News / Data: Dom 06 agosto 2023 alle 16:10
Autore: Niccolò Anfosso
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