Una macchina che sta viaggiando al massimo della potenza, che sta forse andando in overloading sfruttando anche la potenza residuale per rimanere ancora lì, agganciata a quella vetta della classifica che complici i giochi del calendario un po’ va, un po’ viene. E il tutto anche con la piena consapevolezza di non avere a disposizione un motore tanto potente quanto quello di chi comanda da anni questo campionato e che in questa stagione, in un modo o nell’altro, riesce sempre a ottenere il massimo col minimo sforzo e senza nemmeno preoccuparsi di mostrare chissà quale gioco sfavillante. Non avrà i mezzi e la rosa della Juve, questa Inter, e c’è già chi teme, anche davanti all’evidenza di un rendimento comunque esaltante, come da diverso tempo ormai non si vedeva in casa nerazzurra, che alla lunga questo motore possa andare presto fuori giri, somatizzando tutta l’apprensione esternata una settimana tonda fa da Antonio Conte in quel di Dortmund, subito dopo una sconfitta che solo un’oretta prima circa sembrava quanto di più lontano ci fosse dalla realtà.
Tante parole, anche troppe, sono state versate in merito a quelle dichiarazioni. Dipinte dai più come un amaro sfogo, un clamoroso ‘j’accuse’ foriero di un’imminente faida interna tra il tecnico e la dirigenza, quando invece le vere polveriere, con situazioni andate oggettivamente ben oltre il grottesco, sono scoppiate da ben altre parti. Ma più semplicemente, come ha tentato di spiegare anche lo stesso Conte, non si trattava di un atto d’accusa, quanto di una critica dettata in primo luogo dall’amarezza per quanto avvenuto in campo, lui che pregustava un colpo che avrebbe potuto valere una seria ipoteca sul passaggio agli ottavi e sfumato, va detto, anche per colpe legate ad una difficoltà nel leggere il momento della partita e porre un argine alle ondate giallonere nel momento più opportuno. Ma d’altronde, se girandosi verso la panchina le alternative non sono quelle che si presume appartengano ad una squadra di primissima fascia e sembra troppo pretendere slanci di personalità ed esperienza internazionale a chi di pane duro in questo senso ne ha mangiato poco e niente, specie se poi a tradirti sono anche e soprattutto quelli un po’ più avvezzi, in diverse misure, a questi palcoscenici.
E allora eccola, l’amarezza di Conte: l’amarezza di uno che non sopporta di perdere nemmeno a scopone scientifico con gli amici al bar e deve digerire questo pugno durissimo, soprattutto di un tecnico che in questo gruppo crede, vede qualcosa di importante e con il quale vorrebbe davvero ottenere qualcosa di importante, perché bene ragiona chi non crede che uno come lui possa pensare di poter prendere in mano una squadra iniziando da una semplice stagione ‘ponte’, di mera costruzione. E pazienza se alla fine questo messaggio non è arrivato o non è stato diffuso nei giusti modi all’esterno, anche perché sui difetti interni in tema di comunicazione, ormai, si potrebbero scrivere tomi universitari ma non è questo il momento giusto per disquisire di questa tematica; a recepire la convinzione di essere un gruppo forte e in grado di poter fare grandi cose devono essere gli uomini a sua disposizione, quelli che allena e che dirige dimenandosi per novanta minuti e oltre dalla panchina, a volte anche usando una sorta di realtà virtuale per telecomandarne i gesti.
La partita di sabato contro il Verona, se vogliamo, ha dato in questo senso risposte confortanti e, a voler dirla tutta, anche nemmeno troppo definitive. Perché diventa difficile giudicare sotto ogni aspetto una gara che ha avuto praticamente un unico canovaccio, con i nerazzurri ad assediare la trincea schierata da Ivan Juric, che nell’unica volta in cui ha seriamente innescato una ripartenza è arrivata a portarsi in vantaggio con quel calcio di rigore che ha messo ancora di più i bastoni tra le ruote a Conte. Ma essendo la pazienza la virtù dei forti e volendo anche dei giusti, dai e dai, dopo tanti palloni rimbalzati sui difensori scaligeri al punto tale che sugli schermi fra un po’ spuntavano i punteggi in stile Super Mario Bros, il terzo tempo micidiale di Matias Vecino prima e il colpo di genio, il coniglio estratto dal cilindro, e chi più ne ha più ne metta, di Nicolò Barella, poi, arrivando a rendere il risultato perlomeno più corrispondente ai valori effettivamente visti sul campo. E soprattutto, a scacciare via quel po’ di malumore maturato dopo la campagna tedesca ed affrontare la pausa in maniera più serena, auspicando sempre che dalle Nazionali non arrivino ancora brutte notizie sul fronte infermeria (il problema di Alessandro Bastoni, chiariamo subito, non sembra così grave).
Trentuno punti in 12 partite, un solo pareggio e una sconfitta a fronte di dieci vittorie, e chissà, se non fosse stato per quel pomeriggio un po’ così col Parma, prima ancora che per lo scontro diretto contro la Juventus, chissà di che cosa staremmo parlando. Ma per ora, va più che bene così, chiunque avrebbe firmato anche con il sangue per arrivare a novembre in una situazione del genere. Con una rosa frutto di investimenti sicuramente importanti ma che cammin facendo ha mostrato qualche lacuna, e qui ben dice chi parla di Antonio Conte come fattore determinante di questo campionato, forse l’unico che può davvero ribaltare le sorti di una stagione che altrimenti sarebbe già segnata prima ancora di vedere l’aurora, considerate le difficoltà croniche e gli alti e bassi che puntualmente vivono le altre possibili pretendenti dei quartieri alti della classifica. Conte che sta davvero ottenendo il massimo da tutti e tutti si stanno dimostrando pronti a dare il massimo, quel massimo che però rischia di andare oltre il livello di guardia con esiti che tutti sperano di scongiurare. In attesa di capire cosa riserverà la sessione di gennaio, Conte dovrà stringere i denti e prepararsi anche alla grande prova del nove, quella dove negli anni sono cascati puntualmente tutti gli allenatori del recente passato nerazzurro: quella del ciclone di Natale, dove la squadra per chissà quale ignoto motivo parte per la tangente e piomba in una fase di luna nera pesante sul piano dei risultati e su quello ambientale.
Fattore C come Conte, quindi; ma anche fattore C come centrocampo, ovvero l’arma tattica indispensabile per gli schemi del tecnico nerazzurro. Un fattore sottolineato anche con le parole del dopo Verona, quando ha ribadito l’importanza della seconda linea e dei relativi inserimenti, politica che ha pagato ottimi dividendi sabato ma che, come giustamente sottolineato e come del resto abbiamo avuto modo di vedere, ha dato rendite anche a inizio stagione. Del resto, prima che Romelu Lukaku e Lautaro Martinez cominciassero a scaldare i motori, ad aprire le danze stagionali ci hanno pensato due centrocampisti come Marcelo Brozovic e Stefano Sensi, vero e proprio exploit di questa prima parte di campionato. La mediana che porta gol, del resto tutti i rappresentanti nerazzurri sono andati sin qui a segno escluso Borja Valero da assolvere per evidenti ragioni di spazio, dato che, viste le prerogative non dovrebbe comunque stupire più di tanto. Centrocampo dove nonostante tutto pare mancare ancora qualcosa, e questo provando a non pensare troppo a quanto sta facendo a Cagliari Radja Nainggolan, sacrificato sull’altare di un gruppo unito, pronto ad alzare l'asticella e senza distrazioni di qualunque tipo, e del quale si dimentica un po’ troppo spesso che anche l’anno scorso all’Inter, quando in salute (ok, magari poche volte, ma questo è), risultava determinante per i destini nerazzurri, e invece in quel momento si preferiva bollarlo come giocatore finito esaltando chi, a conti fatti, ha vissuto tre mesi sulla cresta dell’onda e un resto di stagione un po’ così.
“Solo chi vince scrive la storia dei club per cui si gioca o si allena”, ha dichiarato Antonio Conte in Arabia Saudita, dove è stato ospite per una sorta di clinic con gli allenatori locali. Questa è la sua ragione di vita e questo è l’imperativo che vuole inculcare nelle menti di tutto l’ambiente Inter, che vuole trascinare verso nuove vette senza nessuno che rimanga indietro. Una scarica di energia, di vitamina C in tutti i sensi, di quella utile, si dice, anche per combattere i rigori (non arbitrali) di un inverno ormai incombente.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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