La decima, così come la nona ma anche l’ottava, è tanto importante quanto complicata. Nella decima vittoria di fila, l’Inter che batte il Sassuolo e si porta a +11 sul Milan e + 12 sulla Juve non è troppo distante da quella che ha avuto la meglio su Torino e Bologna in partite non spettacolari ma tremendamente solide ed efficaci. La squadra di Conte è quasi sfacciata per sicurezza e concentrazione mostrando una forza mentale che per ritrovare bisogna riavvolgere il nastro e risalire ai tempi di Mourinho. E il lavoro di Conte sta non solo ma anche qui: nell’aver reso sicura, tenace e incrollabile una squadra che storicamente e tradizionalmente ha avuto spesso nelle cadute psicologiche il suo tallone d’Achille. Ma qui punti deboli non se ne intravedono.
A San Siro è stato il Sassuolo a tenere il pallino del gioco, a fare possesso, tanto, tantissimo, a far girare il pallone ma spesso con tocchi orizzontali finendo impantanato in una litania calcistica poco concreta. L’Inter ha aspettato, ordinata nei primi 45 minuti, un po’ troppo abbassata nella ripresa: ha pensato prima di tutto a coprire le linee di passaggio, a non farsi saltare, a non concedere mezzo millimetro a un avversario decimato dalle assenze ma che non rinuncia mai al suo gioco. Un gioco che ha il limite di cercare sempre e solo la via centrale e di non riuscire a produrre occasioni clamorose considerando la quantità industriale di passaggi e possesso.
I nerazzurri hanno tenuto le tre linee vicine e compatte, non hanno mai portato un pressing aggressivo e nel primo tempo hanno trovato pericolosità grazie ai cambi di gioco precisi sugli esterni: il primo da Eriksen ad Hakimi non ha trovato sbocchi, il secondo da Lukaku a Young ha portato a una clamorosa occasione per Hakimi che di testa non ha trovato la porta e infine il terzo da Lautaro ancora a Young ha portato dritto all’assist per Lukaku che di testa ha anticipato persino le intenzioni della difesa del Sassuolo. Sbloccare presto una partita non sempre vuol dire metterla in discesa perché da qui in avanti è vero che l’Inter non ha concesso palle-gol evidenti ma è rimasta a lungo a guardare il Sassuolo fare la partita. In attesa, senza rischiare, senza concedere, senza soffrire, brillando poco ma risultando più incisiva di un martello pneumatico.
Sofferenza invece aumentata nella ripresa perché la squadra di De Zerbi non ha cambiato registro mentre quella di Conte è indietreggiata, soprattutto con gli attaccanti finendo così per non trovare nemmeno più il modo di ripartire. Fino al minuto 67 quando è arrivata la più classica scena da sliding doors, di una partita a forse, a questo punto, di un’intera stagione perché, sì, sono quegli episodi che ti fanno pensare che tutto quest’anno gira per il verso interista: De Vrij si è aggrappato alla maglia di Raspadori, l’arbitro non cha considerato l’entità dell’intervento da rigore, l’Inter è ripartita come mai gli era riuscito prima sulla spinta di Lukaku che ha invitato Lautaro al 2-0 che se non vuol dire scudetto poco ci manca.
E siccome si parla pur sempre di Inter, va bene la solidità, la forza mentale, gli episodi da sliding doors e via dicendo: ma vuoi negarti 15 minuti di sofferenza dopo aver concesso il 2-1 agli emiliani e aver fallito due volte il terzo gol per poi segnarlo, ma in fuorigioco, e dover avere quel pizzico di ansia fino al triplice fischio finale? Certo che no. Si parla di Inter che caspita, va bene tutto ma quella sana follia e quel fiatone finale sembrano aver reso tutto ancora più bello. Bello come le corse che dopo 80 minuti Barella riusciva ancora a sfoderare, o come un ingresso di Sensi (per un Eriksen ordinato) convincente e importante per lo sprint finale di questa stagione ma anche per il futuro di questa squadra che di gente coi piedi buoni ha bisogno eccome.
Di bello non c’è stata nel complesso la prestazione che anzi avrà fatto inorridire i puristi del bel calcio ai quali conviene comunque ricordare che il signor Antonio Conte sta conducendo in porto una nave che dal lontano 2011 non vede l’ombra di un trofeo e che adesso viaggia spedita senza che ci sia visibile o prevedibile il pericolo di un naufragio. E ai puristi del bel calcio, che di essere tali hanno tutto il diritto, conviene anche ricordare che la Juve che a un certo punto aveva la pancia piena di scudetti, in nome della ricerca dell’estetica calcistica ha salutato quell’Allegri ora rimpianto come non mai. Quindi figurarsi se ora a Milano, sponda del Naviglio nerazzurra, con la pancia vuota di vittorie da un decennio ci si può permettere di essere schizzinosi sul bel gioco. Che pure, in alcuni momenti della stagione si è visto.
Ma ora è il tempo di procedere spediti, a grandi passi, verso il traguardo e l’Inter ha capito che per farlo deve essere solida, attenta, concentrata, sfrontata, senza fronzoli e con convinzione. Come il suo comandante comanda: da qui in poi basta mantenere velocità e rotta.
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