I numeri sono impietosi perché hanno sempre ragione. E quando vedi che dopo 14 giornate di campionato una squadra che si chiama Inter è dodicesima in classifica con solo 17 punti, frutto di 4 vittorie, 5 pareggi e 5 sconfitte, soffri. Soffrendo, inizi magari a invidiare chi ha scelto nella vita di non innamorarsi di una squadra di calcio e che durante le partite preferisce dedicarsi ad altro. Ma poi sai che non sarà mai così, l'Inter sarà ragione di vita "finché morte non ci separi" come recitava qualche anno fa uno stendardo in Curva Nord. Augurando a tutti i tifosi nerazzurri che tale separazione avvenga il più tardi possibile, andiamo al punto.

Terminata la “famigerata” era Mazzarri, qualcuno pensava che nel giro di pochi giorni il figliol prodigo Roberto Mancini avrebbe guidato “l'Internazionale” verso il “Sol dell'avvenir”. E invece no, bisogna prima compierla la rivoluzione. In questo caso senza assalto a nessun Palazzo d'inverno, ma puntando sulla cosiddetta rivoluzione culturale, quella che svuota le menti dai vecchi concetti e le riempie di nuovi. Qualche furbetto che non aspettava altro, ora si diverte a stilare paragoni tra le due gestioni, bocciando già quella attuale, come se fosse possibile rapportare con obiettività un anno e mezzo di lavoro con quello iniziato da poco più di venti giorni.

Con Roberto Mancini in panchina l'Inter ha esordito nel derby e lo ha pareggiato dopo aver rischiato di vincere e di perdere. Ma la squadra ha mostrato subito una volontà di imporre il suo gioco all'avversario, soprattutto nei primi 20 minuti, cosa che denotava come fosse immediatamente mutato qualcosa. Dopo pochi giorni il Mancio, causa squalifica, ha dovuto seguire da un box del Meazza la sfida di Europa League contro il Dnipro. La performance dei nerazzurri fu orrenda, l'Handanovic pararigori evitò il naufragio che rischiò di tornare dopo la prematura espulsione di Ranocchia. Come tutti sanno la partita l'ha comunque vinta l'Inter in rimonta, particolare che non si salutava da troppo tempo, mostrando uno spirito che la gente invocava.

All'Olimpico dipinto di giallo e rosso e arrivata la prima sconfitta dei manciniani, ma anche in questo caso abbiamo assistito a importanti novità. L'Inter, purtroppo oggettivamente inferiore per qualità e quantità della rosa alla Roma, è stata la prima squadra a segnare nel fortino di Rudi Garcia. E per la terza volta consecutiva, dopo derby e Dnipro, è riuscita a rimontare e per ben due volte, mostrando anche buone trame di gioco. Di negativo, l'incapacità di mantenere presidiate le zone importanti del campo dopo le reti segnate, permettendo sempre all'avversario di tornare subito a far male.

Inter-Udinese doveva rappresentare la svolta, Mancini in panchina per la prima volta in casa, l'enstusiamo ritrovato, etc etc. E invece al novantaquattresimo, quando il signor Gervasoni ha fischiato la fine del match, gli sguardi degli interisti presenti allo stadio si sono incrociati increduli, nervosi, forse rassegnati che al peggio non c'è mai fine. Strama, accompagnato dal Drago Stankovic, si era permesso di batterci ricacciando indietro speranze, sogni, la gioia per aver riabbracciato il Mancio. Ma poi ci siamo andati a riguardare la partita. Abbiamo visto che nel primo tempo una sola squadra giocava (quella nerazzurra) e l'altra attendeva passiva senza sapere bene cosa fare. Gol di Icardi. Purtroppo la mancanza di una certà qualità negli ultimi 30 metri ha impedito che si terminasse la frazione con due o tre reti di vantaggio.

Nella ripresa il buio, ansie e paure che tornano, l'Udinese lo capisce e ci prova, il karakiri di Palacio, il patatrac. Seconda sconfitta consecutiva per Roberto Mancini che dopo aver ascoltato sorridente le ovazioni del pre-partita, alla fine sente, triste, i fischi. Come se ci fosse ancora Mazzarri su quella panchina. No, Mazzarri non c'è più. È ufficiale. L'Inter, nonostante i risultati ancora non piacciano, è cambiata. In meglio. È iniziata la rivoluzione culturale da parte di uno dei migliori allenatori esistenti a livello europeo. Ma la società non si nasconda dietro l'alibi del fair play finanziario e e delle sanzioni Uefa per non venire incontro ai desideri di Roberto Mancini in sede di mercato.

Il Mancio è una persona intelligente, sa dove è tornato, sa che non ci sono più i soldi e il carisma per portare alla Pinetina i giocatori più bravi e più cari. Ma proprio per questo bisogna seguire senza se e senza ma le sue indicazioni riguardo la tipologia del giocatore che può essere funzionale alla sua idea di intendere il calcio. I numeri sono impietosi perché hanno sempre ragione, ho scritto all'inizio. Ma finisco dicendo che ora anche le sconfitte vanno lette, rilette e interpretate. L'Inter di Roberto Mancini cerca di giocare a calcio. Per ora succede a sprazzi. Tra poco succederà per 90 minuti e la musica cambierà. C'è ancora tempo per raggiungere gli obiettivi desiderati.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 10 dicembre 2014 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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