L’Inter ha perso persino col Bologna, è entrata in campo esattamente con quel piglio sottomesso che ci si immaginava e ha giocato una partita grottesca come solo questa squadra sa fare.
Pare proprio che alla società, all’allenatore e ai giocatori nerazzurri piaccia crogiolarsi ogni anno nella sconfitta e nell’ineluttabilità. Capita che la storia si ripeta con puntualità straordinaria e ogni volta si replichi il grande spettacolo della crisi dell’Inter, mettendo in scena la stessa triste rappresentazione barocca a cui una parte di tifosi ha fatto una cinica abitudine. 
La cosa che in questi anni ho imparato a guardare con preoccupazione prima e paura successivamente, è l’inespugnabilità della società, certamente agitata al suo interno ma priva di metodo nei suoi meccanismi di rigenerazione. Quante Inter-Bologna abbiamo già visto e rivisto nella storia? Tante, troppe con squadre ambiziose, con quella maglia nera e azzurra improvvisamente trascinate a valle da perturbazioni interne, battute e lasciate al vento mentre i tifosi urlavano di reagire e i giocatori restavano e restano ancora oggi attoniti nella loro inconsistenza. 
Spalletti è da tempo pronto al patibolo dell’esonero, lentamente, esautorato nel cammino e distrutto fino al momento dell’esecuzione. È accaduto con Pioli, Mancini, Mazzarri, Gasperini, Stramaccioni, Ranieri, Benitez e altri prima di loro, al punto che in questo club cambiare l’allenatore è diventato definitivamente l’unico rimedio conosciuto. Una perversa vendetta verso l’ultimo arrivato che in tutti questi anni non ha insegnato niente. 
Sono andati via tutti e l’Inter continua a ripetere le stesse pagine del copione, eppure, misteriosamente si va avanti con l’ottusa convinzione che tutto dipenda dall’allenatore. 
La realtà delle cose è molto più articolata e il capo d’imputazione va verso una società che ha creato un modello perdente al suo interno, non certo per volontà ma per la sua incapacità di mettere in discussione il modello operativo con il quale ha fatto mercato in questi anni, nella scelta umana di giocatori privi di entusiasmo e interesse, nell’incapacità di trasmettere valori identitari del club che, nel suo organigramma, di interista, almeno simbolicamente, ha solo Zanetti e Piero Ausilio. La società, certamente seria e meglio strutturata di un tempo, da anni gestisce il rapporto con i giocatori e l’allenatore di turno con un approccio di cui non dubita mai, limitandosi ad un intervento o una presenza maggiore in caso di crisi e a parole entusiaste quando le cose vanno bene. 
Sembra che qualcuno faccia trapelare notizie che destabilizzano l’ambiente, in nome di qualche interesse che è contro quello dell’Inter stessa. Da anni tutti gli allenatori fanno intuire che in società c’è chi rema contro e fa più danni della grandine. Spalletti nella conferenza stampa di fine stagione del 2018 (che trovate ancora on line) rivelava indirettamente questo scenario, quando ad un certo punto incalzava un collega della carta stampata chiedendogli polemicamente quali fossero le sue fonti riguardo ai nomi altisonanti del calciomercato che uscivano, pur essendo falsi. 
Il tecnico oggi ha la colpa di non riuscire a far giocare a calcio la squadra, nemmeno quando a inizio stagione le cose andavano meglio ma ha costruito questo terzo posto, ora seriamente a rischio come la qualificazione alla Champions. Ha ribadito con un tono flebile e rassegnato che i giocatori sono giganti d’argilla, con quell’aria da guerrieri tatuati, pronti a tutto e invece fragilissimi, senza interesse per il blasone o, al contrario troppo immaturi per reggerlo. 
Il vero mistero, gelosamente rinchiuso nelle mura interiste è cosa accada ogni anno per due mesi e mezzo tra dicembre e febbraio e come mai la società non cambi radicalmente i suoi criteri. 
Col Bologna si è compreso che Nainggolan non ha davvero più voglia, Perisic gioca col cartellino da timbrare, Icardi si è dissolto, Candreva gira come una macchina degli autoscontri priva di pilota, Nainggolan pensa ad altre quattro cose prima, durante e dopo le partite, Vecino è tanto lento da farsi investire da un’auto parcheggiata, Lautaro è acerbo e sbaglia gol imperdonabili e alla fine si scopre che uno dei migliori, forse il migliore per convinzione è Dalbert, insieme a Skriniar. 
La squadra non solo gioca male e con estrema lentezza ma nemmeno si aiuta, come dimostrano diverse ripartenze di avversari increduli di fronte alle praterie lasciate da un centrocampo che osservava con interesse invece di intervenire. 
Sabato sera c’è il Parma, e il calvario non c’è ragione di credere che possa cessare d’incanto. Non c’è aria di esonero ma nemmeno di una reazione dell’ambiente, solo quest’aria di arrendevolezza di un club che ha ormai acquisito la sua dimensione ambiziosa e perdente. La vera brutta notizia è questa.
Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 04 febbraio 2019 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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