Sarà il salto comune, e avvenuto quasi in simultanea, in una nuova dimensione, che pure ha visto i due club pescare dall'urna cinese con fortuna ben diversa, come ribadiscono le cronache di questi giorni. Sarà stata un'estate alla rovescia, laddove l'Inter era attesa al giro di giostra del mercato col portafogli pieno e, a sorpresa, le spese pazze le ha fatte il Milan. O, ancora, la genesi del nuovo organigramma rossonero, che si è creato per aggregazione (Mirabelli, Romeo...) intorno all'ex nerazzurro Marco Fassone.
Di qui, l'esigenza, da parte di stampa e addetti ai lavori, di porre Inter e Milan a confronto, un confronto quasi quotidiano, che ha via via avvolto tifosi e ambiente in un vortice assai simile (forse troppo?) a quello che da sempre caratterizza la piazza romana, dove finire davanti ai cugini diventa il traguardo stagionale, soprattutto in considerazione del fatto che Lazio e Roma soltanto di rado si son trovate realmente a portata di titolo. Quella distanza dal vertice, da qualche anno, attanaglia le milanesi, che per ragioni neanche troppo dissimili tra loro - cambi di proprietà, errori marchiani in fase di campagna acquisti e di gestione quotidiana del gruppo e della comunicazione, burocrazia che si oppone al progresso in una città che col progresso di solito va a braccetto- non sono più quelle di una volta, quelle per cui il derby era il derby, ma il mondo non finiva lì.
Dopo anni di rivoluzioni e poche gioie, Milan e Inter si ritrovano adesso continuamente accostate, come in un intenso duello che si è ancor più accentuato dopo la rimonta in classifica dei rossoneri di Gattuso. Prima, la diatriba più o meno velata verteva su San Siro, questione adesso tacitata in attesa di ulteriori sviluppi. Ora, il rinnovato dualismo è esploso in tutta la sua veemenza con la vicenda inerente al recupero del derby, e la successiva querelle biglietti con tanto di prese di posizione piccate e puntuti comunicati ufficiali dei club: inutile negare quanto questi intrecci più o meno sottili siano figli di due società che stanno or ora imparando a gestirsi in modo manageriale dopo anni di mecenatismo familiare. Moratti e Berlusconi, per ragioni storiche, caratteriali e - perché no - politiche avrebbero senz'altro fatto ricorso all'ormai abusato concetto del gentlemen's agreement per risolvere la questione derby. Il tema, invece, è adesso più sottile, più tattico, e c'è in ognuna delle due parti la naturale voglia di imporre la propria linea.
Non è questa la sede per entrare nel merito della questione, che è stata già dibattuta a sufficienza e, d'altra parte, vede l'Inter in una posizione di assoluta inattaccabilità formale. Sarebbe ipocrita, però, negare che le due società vedano anche in questa vicenda una sorta di 'guerra di potere': chi la spunta, chi strappa il plauso più vasto, guadagna in qualche modo una medaglia da apporre al petto di una società giovane, in evoluzione e, per motivi differenti, non ancora oggetto di fiducia incondizionata da parte dei propri sostenitori e dei commentatori che potremmo definire ottimisticamente 'terzi'.
Se la sfida delle scrivanie e dei palazzi resta fortunatamente, e ovviamente, una questione di sottili stilettate, qui fuori le gradazioni di colore son ben più forti, fino a raggiungere nei casi peggiori le quotidiane secchiate di sterco in volo da una parte all'altra sui social. Scendendo più in basso nella scala del cattivo odore, le vicende dei giardini di piazza Axum, con la targa per Herrera malamente deturpata, che si unisce a quanto è successo all'InterWall di via Borsieri. La precisazione, da porsi senza se e senza ma, deve sottolineare non tanto che non ci siano prove sul presunto tifo rossonero dei geniacci di via Borsieri: ciò che più conta è affermare che certi gesti non sono attribuibili al tifo, ma all'esigenza di far schifo che qualcuno, per sua natura, avverte. L'uomo è in fondo un animale che cerca di dimenticarsi della sua animalità: non a tutti, però, si può richiedere questo sforzo mentale; chi mai inventò i lucchetti, le sbarre e le manette era mosso, d'altra parte, proprio da questa consapevolezza.
È per questo che, da via Borsieri in giù, non ha senso trarre presunte deduzioni su questioni di identità e superiorità nei confronti di tutti gli altri, e questo purtroppo è un vizietto che ha contagiato anche chi la testa sa farla funzionare. Ognuno ha i suoi gentiluomini, ognuno ha le sue scimmie. Ciascuna delle due tifoserie, sia chiaro, possiede giustamente una sua identità, il suo Olimpo con i suoi dei, forse anche una sua etica e una sua estetica che derivano da particolari snodi storici delle due società: di qui, ad esempio, ci si identifica nell'attaccamento, nell'onestà, di là nel 'bel giuoco' e nella vocazione internazionale. Ciò è chiaramente irrinunciabile perché fa parte del gioco, e distingue ormai le sponde né più né meno come fanno il rosso e l'azzurro, ma tutto il resto è noia. L'Inter esiste, il Milan anche, e questa duplicità è dannatamente bella. Credere però di essere i migliori, se lo si sostiene sul serio, è altrettanto dannatamente ridicolo.
E poi, diciamolo con franchezza: star qui a guerreggiare su date, rimborsi e, ancor più giù negli orrori, su insulti, uova e vernice dimostra quanto siamo tutti, da troppo tempo, poco impegnati con rilevanti questioni di campo. Se non ho scudetti per cui lottare, mi divertirò in una prolissa battaglia social su chi sia più forte tra Skriniar e Romagnoli, come se fosse necessario stabilire il primato di celolunghismo e, soprattutto, come se la mia investitura potesse davvero giovare al rendimento di uno dei due, o almeno farmi guadagnare due spicci. In attesa di anni migliori, purtroppo, ci resta tanto tempo libero per le beghe di cortile: eppure ognuno ha la possibilità di farsi indietro e parlare di calcio in modo più interessante, forse persino costruttivo. Questo stesso articolo, in fondo, viola ahimè questa regola d'oro. Certo, quelli trattati son concetti di attualità, ma è così triste doverli ribadire. Appuntamento al 4, perché alla fine il derby è quella roba lì.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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