L'Inter chiude il decennio da eroina dei due mondi, in una storia circolare che dal 2010 a oggi ha attraversato un'era geologica a livello calcistico. Nove anni fa, la corazzata guidata da José Mourinho vinceva la Champions League a Madrid in finale contro il Bayern Monaco grazie alla doppietta di Diego Alberto Milito, che da Principe machiavellico estese i confini di Milano a tutta l'Europa; oggi, ciò che rimane delle dominazioni nerazzurre oltre confine sono semplici colonie in tutto il Sud America, dove Gabigol - il nuovo re del continente - ha vestito i panni del conquistadores sbaragliando la concorrenza del River Plate con due gol.

E' cambiato tutto il calcio, non solo l'Inter in questo lasso di tempo: colpa del Fair Play Finanziario che ha modificato la percezione dei ricavi economici rapportati alla vittoria. In questo nuovo contesto, la creatura morattiana ha avuto logicamente vita breve nella decade appena salutata, complice l'ingresso dei petroldollari del Psg e del Manchester City e dei megasponsor con quali finanziare i colpi di mercato che negli anni 90-2000 erano di proprietà quasi esclusiva dei mecenati. Oggi, che ti chiami Inter o Ludogorets, occorre dare un occhio al bilancio prima di procedere a una qualsiasi operazione: ecco perché, una vittoria a chilometri di distanza, in una finale di Copa Libertadores, ha per forza un impatto sul futuro di una società. Che è passata dalla cultura del gioco al rialzo dello stipendio di una leggenda del Triplete un secondo dopo aver ottenuto la gloria continentale, alla più parsimoniosa realizzazione di una plusvalenza con la cessione di un giocatore che non ha lasciato alcuna traccia nella storia del club. L'abilità di una dirigenza si misura rapportandola allo scenario in cui opera: ecco perché la politica degli stipendi gonfiati per eccesso di riconoscenza con lo spettro del FFP pronto a bussare alle porte della sede societaria fu una scelta scellerata all'epoca, al pari della insensata voglia di Suning di comprare il futuro puntando su due ragazzi che non avevano dimostrato niente come Joao Mario e Gabigol per la bellezza di 70 milioni di euro. Due errori di valutazione madornali che il club sta pagando a tre anni di distanza, con l'unica speranza di limitare i danni: senza aver goduto dell'apporto in campo dei due, la famiglia Zhang si ritrova a dover sperare di cancellare due peccati di gioventù grazie all'aiuto del Flamengo e della Lokomotiv Mosca. La concessione della formula del prestito con diritto di riscatto è una specie di ammissione di colpa che determina una pericolosa dipendenza dalle bizze del club con cui si dialoga e dal rendimento del giocatore. L'Inter, in questo caso, ha diverse province in giro per il mondo, per le quali vale la pena tifare. Il premio finale non viene sistemato in bacheca ma nelle casse del club, un passaggio intermedio per provare a mettere effettivamente le mani su un trofeo. In un mondo del calcio sempre più spietatamente competitivo, l’attività di trading dei calciatori è fondamentale per rimanere al passo delle società che hanno un fatturato che sfiora il miliardo di euro. Comprare Lautaro Martinez a 25 milioni di euro (dal Racing di Milito) anticipando la concorrenza, per esempio, significa godere appieno del suo talento nel giro di due stagioni, ma anche vedere quadruplicare il suo valore dopo pochi mesi dalla sua definitiva esplosione. Ecco che meccanismo ha innescato la rivoluzione del decennio: i giocatori sono l'asset più importante per un club, quindi la risorsa più difficile da gestire. Bisogna sapere comprare e vendere al momento giusto, meglio rispetto a dieci anni fa. Inutile scandalizzarsi per l'addio del fu capitano Icardi se la situazione contingente ha imposto un divorzio milionario. Normale gioire per il rendimento fenomenale di Gabigol lontano dal Vecchio Continente non per richiamarlo alla base, ma per rientrare da un investimento sbagliato. Deleterio crucciarsi per lo scippo di Kulusevski da parte della Juve se le volontà dello stesso sono cambiate repentinamente e le disponibilità finanziarie non sono infinite.

E allora ritornano in mente quelle parole di Milito pronunciate pochi minuti dopo triplice fischio della finale di Champions che già anticipavano la nuova era del calcio: "Se rimango? Speriamo, nel calcio non si sa mai. Ringrazio l'Inter per avermi voluto, poi vediamo. Ho un'offerta importante”. E' cambiato tutto, ma alla fine non è cambiato niente. I giocatori e gli allenatori passano più o meno velocemente, il club resta. L'Inter prima del 28 maggio sapeva di aver perso José Mourinho, dieci anni dopo sa che può contare su Antonio Conte per un po' di tempo. Ha aperto il decennio con un tifoso interista che ha tradito nella notte più nerazzurra della storia e lo ha chiuso con un ex nemico dichiarato che ha imposto il senso di appartenenza non non legandolo ai colori ma alla fatica. Il miglior modo per sopravvivere in questo sport sempre più frenetico, dove dieci anni volano via in un soffio. Ma hanno lasciato in eredità una lezione senza prezzo: inutile aver nostalgia del passato, spesso i trionfi annebbiano i ricordi, meglio concentrarsi sull'anno che verrà. Il 2020, quello in cui l'Inter ha bisogno di nuovi eroi. Diversi da quelli di Madrid o di Lima, comunque interisti.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 02 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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