Antonio Conte, nell’immediato dopopartita di Napoli, aveva la faccia e il ghigno di chi sapeva di saperla lunga. Soprattutto, aveva in corpo ancora l’ardore di una missione compiuta nella miglior maniera possibile, quella di sfatare il tabù di un campo che per l’Inter ormai era diventato stregato, quasi quanto quello di Reggio Emilia, altro sortilegio spezzato durante questa stagione sin qui fatta di entusiasmanti cavalcante in trasferta (con gomiti, purtroppo, che portano ancora i segni dei morsi per come è andata a Firenze). Finalmente può dirsi conclusa l’era in cui si citava come un mantra quella vittoria targata Fabio Galante e autogol di Francesco Turrini, talmente lontana nel tempo che Sebastiano Esposito ha fatto in tempo a nascere, crescere e sedersi in panchina al San Paolo con la prima squadra, con annessa la strana sensazione di aver rimediato un giallo per aver reagito ad un pallone scagliato verso di lui da Fabian Ruiz.

L’Inter torna da Napoli con una calza piena di dolci e soprattutto con tre punti in tasca che le permettono di proseguire in questo serratissimo duello a distanza con la Juventus, con all’orizzonte il traguardo intermedio del titolo di campione d’inverno, platonico finché si vuole ma dopo nove anni dove l’Inter non è stata campione di nulla, anche il poter raggiungere un obiettivo puramente simbolico fa morale a pioggia. Ennesima partita portata a casa con caparbietà, volendo anche con chirurgica precisione, da Antonio Conte, che si gode la sua centesima vittoria in Serie A ottenuta in un lasso di partite relativamente contenuto, una cosa che nel massimo campionato italiano era riuscita solo a un signore di nome Carlo Carcano, per ritrovare le cui gesta bisogna risalire fino al periodo tra le due guerre mondiali. Conte incassa ma non pensa minimamente a festeggiare un record del quale ha avuto notizia solo tramite suggerimento dell’ufficio stampa. Anzi, preferisce far sfociare l’adrenalina ancora in corpo mettendo i puntini sulle i di discorsi a lui molto cari.

Non ci sta, Antonio Conte, e passa al contrattacco. Non ci sta e sorride beffardamente quando sente i commenti di un salotto televisivo dai toni piuttosto dismessi, vogliamo credere semplicemente per via delle festività natalizie andate ormai in esaurimento, che sembrano limitare la vittoria dell’Inter ad un efficace gioco di difesa e ripartenze. Troppo riduttivo, semplicistico fin quasi a sembrare sempliciotto, liquidare così il lavoro compiuto in questi mesi e che ha portato a vedere sul campo un’Inter che, Conte dixit, ormai gioca in maniera memorizzata, dove tutti sanno alla perfezione quello che va fatto, dove la manovra inizia praticamente dalle primissime linee col pressing portato altissimo, dove raramente arrivano contropiedi rapidi e letali per via dell’abilità nella riorganizzazione e nella capacità di recuperare in fretta le coperture, dove finalmente non ci si fossilizza lì davanti in un’unica soluzione come avveniva fin troppo spesso in passato, ma si cerca di dare libero sfogo al talento che prova a risolverti le partite. E dove anche un ragazzo come Alessandro Bastoni, arrivato in punta di piedi, dimostra di essere cresciuto a tal punto da permettersi il lusso di zingarate coast-to-coast in stile Lucio dei tempi d’oro. Tutto questo perché i tre gol saranno arrivati su altrettanti infortuni della difesa del Napoli, ma da qui a dipingere quella di lunedì come una vittoria piovuta dal cielo ce ne passa.

È un Antonio Conte che ha decisamente voglia di parlare e di chiarire il suo punto di vista, e soprattutto di replicare colpo su colpo alle tante, troppe chiacchiere che stanno facendo da sottofondo fastidioso alla stagione dell’Inter. E allora, ecco che inevitabilmente il discorso cade sul giocatore ormai leader incontrastato di questo gruppo. Perché segna una doppietta, trascina la squadra, continua a collezionare gol tanto belli quanto importanti, arriva a quota 14 marcature in stagione, toglie a sua maestà Cristiano Ronaldo il record di gol in doppia cifra in meno in 10 presenze in campionato, eppure… Romelu Lukaku è una pippa. Sì, così il tecnico salentino ha attaccato il discorso dedicato al suo centravanti. Una frase, oltretutto accolta in studio da una risata sguaiata e stridente, che a primissimo impatto può anche spiazzare, ma che ben denota tutta l’amarezza, e volendo anche il disgusto, per le tante cattiverie spese sul conto del gigante di Anversa.

Con quella semplice frase a effetto, Conte ha voluto mettere a sedere i tanti, troppi detrattori emersi in questi ultimi mesi a svolazzare intorno a Big Rom, pronti a gettarsi su di lui come avvoltoi al suo primo passo falso. E chissà per quanto tempo rimarrà senza soluzione il dubbio sul perché Lukaku si sia ritrovato suo malgrado a diventare protagonista di un gioco più grande di lui, condotto dai nostalgici dell’ex capitano e numero nove nerazzurro, gente che magari si professa interista salvo poi dire di vedere solo un attaccante che ha fatto sì 150 gol e oltre con la maglia della Beneamata ma che trasecola quando le vengono citati i nomi di Roberto Boninsegna o Alessandro Altobelli. Il tutto con l’aggiunta di sfortunati titoli che prima ancora che arrivasse all’Inter, provando a mettere in dubbio le qualità tecniche, finivano quasi col giocare con le qualità umane che invece Lukaku ha dimostrato di avere in qualità industriale, e un’ostentazione di livore malcelata dietro la costruzione di personaggi da operetta finti che però devono sembrare veri. Senza scomodare anche i casi di discriminazione che lo hanno visto protagonista, quelli sono disgustosi a prescindere.

Per fortuna sua e dell’Inter, Lukaku a tutto questo non ci pensa e continua ad andare dritto per la sua strada. Lui che ha saputo reagire a ben altre avversità, decisamente più probanti di queste, va in campo e compie alla perfezione il suo dovere: si carica sulle sue possenti spalle tutto il gruppo nerazzurro, regala giocate che solo fino a qualche mese fa sembravano pura utopia. Soprattutto, continua a regalare gol di pregevole fattura. Basti prendere quelli più freschi: il primo figlio di una grandissima lucidità e intelligenza tattica che lo porta, dopo una sgroppata di 40 metri, a dettare a Lautaro Martinez un movimento a scaricargli l’uomo che gli apre il varco per la conclusione a rete, il secondo figlio dell’innata potenza che lo porta a scagliare contro Alex Meret un pallone alla supersonica velocità di 111 km/h. E va bene che ci sarà anche lo zampino del portiere napoletano, ma è dura provare a tenere un pallone scagliato a quella velocità e uscirne in qualche modo incolumi.

Soprattutto, Romelu sorride: sorride abbracciando Lautaro Martinez in campo e fuori, e sorride soprattutto davanti a tutti quelli che continuano chissà perché a volerlo sminuire. E dopo quanto avvenuto ieri, pensando alla sua figura, diventa impossibile non cogliere l’assist regalato dall’arte surrealista e da uno dei suoi più grandi interpreti, vale a dire René Magritte, guarda caso belga come lui, come del resto ha fatto una delle pagine più geniali del mare magnum nerazzurro sui social, quella degli ‘Interisti Esistenzialisti’. E allora sì, possiamo dire che ‘ceci’, ovvero il signor Romelu Menama Lukaku Bolingoli, potrà avere anche dei tempi difficili durante la stagione, come del resto possono capitare a tutti, ma ad oggi possiamo affermare con certezza che ‘n’est pas une… pippa’. Con buona pace di chi vuole ingannarsi ancora coi giochi del ‘trompe-l-oeil’ e con la forzata dematerializzazione di una realtà.

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Sezione: Editoriale / Data: Mer 08 gennaio 2020 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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