L'Italia, dopo un grandissimo Europeo, esce male dalla finalissima, schiantata dalla Spagna con 4 reti. Troppo stanchi gli azzurri e troppo superiori gli iberici per sperare in un epilogo diverso. 

Stonano, in tale contesto, le polemiche innescate da alcuni operatori dell'informazione italiana. E' il caso, ad esempio, di Roberto Perrone, prima firma del Corriere della Sera, che a Sky ha detto: "Diciamoci la verità: paghiamo i 6 anni di dominio dell'Inter. Bisogna crescere italiani e affidarsi ai giovani. Prandelli ha convocato i più bravi e dobbiamo chiederci chi ci sia dietro ai 23 della spedizione. E' chiaro, la colpa non è dell'Inter, che è un club che fa i propri interessi, però...". Sulla stessa linea Paola Ferrari, conduttrice di RaiSport: "E' il solito discorso - sentenzia poco dopo la finale di Kiev -. Poca attenzione ai giovani italiani, se pensiamo che l'Inter due anni fa ha vinto la Champions con una squadra tutta composta da stranieri...".

Inutile dire che in finale, tra i titolari azzurri, giocavano ben due elementi cresciuti nel vivaio interista (Balotelli e Bonucci). Così come appare inutile ricordare a lorsignori che l'Inter da anni domina i tornei giovanili a ogni latitudine e proprio quest'anno c'è stata l'apoteosi, con trionfi in serie dai più piccoli fino alla Primavera che ha dominato in Next GenSeries e in Campionato.

Tutto sembra inutile quando di fronte si hanno preconcetti e miopia calcistica. E così Prandelli da mago diventa incompetente; Balotelli da eroe a immaturo; Cassano da assist-man a fuori forma. Vale tutto. Vale anche parlare di ItalJuve fino al 13' della finale dell'Olympiysky e poi parlare di calcio italiano troppo esterofilo dopo il cappotto iberico. E dalla bocca dei soliti espertoni, come per magia, esce la Juventus ed entra l'Inter. Ma non l'Inter dei Facchetti, dei Meazza, dei Bergomi, degli Zenga, dei Mazzola, degli Oriali, degli Altobelli o dei Materazzi. No, l'Inter esterofila, che ha - udite udite - la colpa di vincere senza italiani. Siamo al comico. Non ci fosse da piangere, rideremmo.

La linea è sottile e sarebbe facile cadere negli stessi errori commessi anche da organi ufficiali di club di primissimo piano nel panorama nazionale. Sarebbe facile e sbagliato. In Italia si continua a guardare alla Nazionale con gli occhi del tifoso(tto). E allora ognuno coltiva il proprio orticello. Ma il tifo è tifo a prescindere, o andrebbe chiamato in altra maniera. E io ho tifato Italia anche se in campo e in panchina non v'era alcun nerazzurro. La passione e l'affetto per una squadra - di club quanto nazionale - non si compra al supermercato, non si somministra di tanto in tanto. C'è o non c'è. 

Io ce l'ho, e magari per alcuni non sarà un pregio. Sono sempre stato nerazzurro, ma non dimentico che nel Mondiale 1990 la mia maglietta dell'Italia col numero 9 ricamato a mano la consideravo di Vialli, uno dei miei preferiti e all'epoca nella Sampdoria. Così come adoravo Donadoni, milanista da sempre. Questa è l'Italia, che ha un solo colore. Voi, che ne vedete qualcun altro al fianco o in sostituzione dell'azzurro, tornatevene nell'orticello. E possibilmente restateci anche fra due anni. E fra quattro. E fra sei. E fra... sempre.

Twitter @Alex_Cavasinni

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Lun 02 luglio 2012 alle 18:00
Autore: Alessandro Cavasinni
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