Intervista esclusiva del Corriere dello Sport a Massimo De Santis, l'ex arbitro protagonista dell'incresciosa Calciopoli.
Primi giorni di maggio, prime indiscrezioni, prime trascrizioni delle intercettazioni dello scandalo passato alla storia come Calciopoli. Lei, quei giorni, cosa faceva, immaginava potesse essere coinvolto?
"Torno a casa da Juve-Palermo (7 maggio, ndr), avevano mandato me perché già avevamo letto i dialoghi fra Moggi e uno dei nostri ex designatori, Pairetto. Il giovedì precedente, a Coverciano, si era posto il problema, io ero quello che doveva andare ai Mondiali, per questo l’allora disegnatore, Mattei, scelse me. Davanti la tv, alla Domenica sportiva, cominciarono i primi dibattiti, pensavo però fosse più una cosa mediatica. E non avrei immaginato di vedere i Carabinieri a Coverciano. Ci radunarono tutti in aula magna, quella dove si facevano i sorteggi, e ci chiamarono, a uno a uno, per consegnarci l’avviso di garanzia. Lavorando a contatto con i magistrati al Ministero di Grazia e Giustizia come commissario di polizia penitenziaria, capii subito che non c’era sostanza in quella storia. Avevo visto gli arbitri, soprattutto i più giovani, disorientati, anche quelli che non erano coinvolti. Non si sapevano i confini. Io, invece, non avevo paura, ero solo arrabbiato, molto. Quale arbitro che aveva preso un avviso di garanzia sarebbe andato al Mondiale? Avevo capito che avevo finito".
Un salto in avanti, dieci anni dopo. Cosa ha insegnato Calciopoli?
"Nulla. Perché il calcio aveva allora e conserva oggi dei lati oscuri. Ma non c’entrano arbitri e partite, anche se ad ogni errore di un arbitro, ancora adesso, si teorizzano chissà quali manovre. Il vero problema è nei conti, nelle questioni economiche, nelle plusvalenze che stanno rovinando tutto. La nostra Serie A, paragonata a quella del pre-Calciopoli, è poca cosa. Anche da un punto di vista arbitrale. Prima, per collezionare 100 gare in Serie A, dovevi sudare sei, sette, otto anni. Adesso, in quattro anni sei a posto: anche se sbagli, la domenica dopo arbitri".
E a lei cosa ha lasciato Calciopoli?
"Un’esperienza. Le accuse che ci rivolsero non erano di grande conto, ma penso a chi viene accusato di droga, omicidi, ed invece non c’entra nulla. E poi tanti volti e persone amiche, come il mio compagno di viaggio, l’avvocato Paolo Gallinelli, sempre al mio fianco".
Torniamo a dieci anni fa: il campionato 2004-05 fu davvero condizionato?
"Rispondo con le sentenze. Non c’è stata nessuna gara alterata, tutti gli arbitri sono stati assolti, Racalbuto prescritto per Roma-Juve, anche se in quell’occasione gli errori furono dell’assistente, e io, solo io, condannato. Le uniche tre partite finite agli atti come “taroccate” non hanno riscontri oggettivi, ma vengono teorizzate. C’erano falle che né la Corte d’Appello, né la Cassazione hanno avuto voglia di scoprire, seguendo la teoria iniziale invece di cercare la verità. Ripeto, Roma-Juve, dove sbagliò il guardalinee; Fiorentina-Bologna, partita ascoltata in una intercettazione che per l’accusa era fra Moggi e Racalbuto; Lecce-Parma, per tutte le telefonate che ci sono state su quella partita»".
Ma le sim c’erano o non c’erano?
"Rispondo per me, io non le avevo. Ed è provato dai documenti che ho portato nei processi, la sim che l’accusa mi aveva assegnato agganciava le celle di Roma mentre io ero in campo ad arbitrare una volta a Liverpool, comunque in Uefa".
Lei è l’unico degli arbitri a non essersi disincagliato dalle secche dell’accusa.
"E l’unico a essere prima promotore dell’associazione e poi semplice associato. Si doveva appurare la verità, non incastrare le persone in un teorema figlio dei dossier Pirelli".
A sentir parlare lei, però, anche a distanza di dieci anni, sembra che Calciopoli le sia piovuta in testa dal cielo.
"No, dal famoso Juve-Parma, quello del gol annullato a Cannavaro. Da quel momento in poi mi hanno dato la nomea di juventino. La verità è che Calciopoli è nata per colpire Moggi e Giraudo, e se non si fossero dimessi magari avremmo visto un’altra storia. Gli arbitri servivano da puntello a quel disegno. Io ero l’arbitro che i bianconeri non volevano, lo dice lo stesso Moggi nelle telefonate intercettate. Invece...".
Le intercettazioni sono state le altre protagoniste di questa vicenda.
"Soprattutto quelle che sono state nascoste. “Piaccia o non piaccia, non esistono altre telefonate” disse al processo Narducci. Ma se ci fossero state tutte, sarebbero state coinvolte altre società e altri protagonisti. E forse il calcio sarebbe stato davvero più pulito".
Calciopoli, 10 anni dopo: è servito?
"Se oggi un magistrato volesse indagare, ma davvero, altro che Calciopoli...".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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