"Sento un pregiudizio su di me. Sembra che all’Inter non abbia vinto solo io. Ma il periodo negativo non è stato tutto e solo mio. È stato dell’Inter. In sei anni avrò visto passare un centinaio di giocatori. Oltre a tre presidenti e proprietari. Ma tutto questo cambierà". Lo ha dichiarato il difensore dell'Inter Andrea Ranocchia nel corso di una interessante intervista-confessione ai microfoni del Corriere della Sera.

Una chiacchierata intima nella quale il centrale umbro ha spiegato che negli ultimi mesi ha avuto bisogno di un 'supporto psicologico': "Da tre mesi vado in un centro in cui mi seguono dal punto di vista fisico e psicologico. È lì che tiro di boxe, per esempio. E poi c’è una persona con cui parlo. Non è uno psicologo. È laureato in Fisioterapia ma è anche esperto di mental training. Parlare con lui mi è servito a capire che quasi niente nella vita è irrimediabile. E anche quello che lo è non è detto che sia un male. Puoi subire critiche, insulti, denigrazioni. Ma se lavori tantissimo, ti impegni, vesti una maglia che milioni di persone vorrebbero vestire (e sei pagato tanto per farlo), la tua famiglia sta bene: ecco, se hai consapevolezza piena di tutto questo, è meno difficile volgere in positivo le cose che non vanno. Non c’è una ragione precisa che mi ha spinto a prendere questa decisione. Una persona fa delle cose quando è pronta a farle. Io, per esempio, con tutto quello che mi è successo in carriera, ora so come fare a dare una mano, so che posso aiutare".

Sul carattere fragile di Kondogbia - "Lui è molto introverso. Non esprime le sue emozioni, non parla molto. L’ho incoraggiato molto dopo la sostituzione nel primo tempo contro il Bologna…".

Gli anni all'Arezzo, la caduta e la rinascita - "Sono retrocesso dalla B alla C con Conte. Ho iniziato a giocare negli anni del nonnismo pesante in spogliatoio, mentre ora è quasi spariti. I miei 'persecutori? Carrozzieri, Abbruscato e Mirko Conte nell’Arezzo, avevo 17 anni e come se non bastasse andavamo a giocare in campi terribili: l’Arezzo era la squadra più a nord del girone. Poi ho vinto un campionato di serie B col Bari, sempre di Conte. Ho giocato in nazionale. Ho vinto una Coppa Italia con l’Inter, nel 2011. Sono stato indagato per scommesse e sono stato assolto. Sono stato capitano dell’Inter…".

La fascia di capitano - "Non c’è stato un motivo per cui l'ho persa, sono tante cose, ma non mi va di dirle adesso. Forse a fine carriera. Ecco, aggiungiamo all’elenco che da capitano dell’Inter ho smesso di esserlo. Colpa di Mancini? No, con lui non ho mai litigato. Con me si è comportato bene, abbiamo sempre parlato molto, mi ha dato il via libera per andare alla Sampdoria quando volevo giocare ma è stato felice che tornassi all’Inter".

Addio di Mancini - "In ritiro si intuiva che si era rotto qualcosa".

Arrivo di De Boer: "Ha introdotto regole ferree. Come per esempio pranzare qui, tutti insieme, prima delle partite. O far colazione se c’è l’allenamento al mattino. E poi tornare qui a dormire dopo la partita. Sembrano cose piccole, ma fanno moltissima differenza. Il nuovo modo di giocare? È un modo di stare in campo che viene automatico, perché vogliamo aggredire dall’inizio. Più che l’intensità degli allenamenti o anche in partita, con questo modo di giocare è più importante la tecnica. Lo vediamo negli esercizi di base che De Boer ci fa fare in allenamento". 

Chi sono i giocatori che nei suoi anni di Inter l’hanno impressionata di più? "Quelli del Triplete, con cui ho giocato nei primi sei mesi del 2011 erano – tutti – di un’altra categoria psicologica e tecnica. A parte loro, direi Coutinho e Kovacic".

Convocazione in Nazionale con il suo mentore calcistico Ventura - "Non è un’ossessione. È una possibilità".

 

Sezione: In Primo Piano / Data: Mer 12 ottobre 2016 alle 23:56
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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