"Il club non deve guardare a una singola stagione, il nostro è un progetto a lungo termine. Per questo bisogna fare in modo di superare i danni causati dalla pandemia. Il mercato è una modalità per ridurre i costi. Bisogna recuperare i milioni persi nelle scorse stagioni, per le mancate attività e gli stadi chiusi. Dobbiamo ridurre i costi, restando però competitivi, e ottenere ricavi dal mercato". Lo diceva Steven Zhang dopo qualche giorno dall'arrivo di Simone Inzaghi, quindi all'indomani dell'addio di Conte e due settimane dopo aver sollevato il 19esimo scudetto, primo trofeo dell'era Suning.
Quello che non diceva era ciò che intendeva con 'ridurre i costi' e 'ottenere ricavi dal mercato'. Quantomeno non realmente, o per meglio dire, limpidamente. Ridurre i costi e ottenere ricavi dal mercato parafrasati con lo sfoltimento di rosa e monte ingaggi che aveva messo a dura prova quanto alle strette Marotta e Ausilio già nel pomeriggio del 25 maggio, quando Antonio Conte scelse la via del 'grazie e arrivederci', non compresa realmente a fondo da molti, e ancor più il 26 quando la ricerca dell'allenatore che desse continuità al progetto si scontrava con le esigenze di un portafogli sempre più difficile da aprire. A tenere a galla l'Inter fu ancora una volta l'astuzia di Beppe Marotta che con un paio di colpi da maestro portò a Milano Simone Inzaghi.
Primo ostacolo superato e via con i primi cento metri. La corsa nerazzurra continuava malgrado i turbamenti e le contestazioni immediatamente sorti dopo l'addio del tecnico leccese, che inevitabilmente acuiva timori, nonché sospetti, già sorti qualche settimana addietro con quei i rumors che parlavano di situazione economica non esattamente così agiata. Quelle stesse voci - così chiamate - che tanto fanno infuriare il popolo del web, ma solo con chi li racconta, reo di fare il proprio lavoro. Anche in quel caso a mettere le pezze e la faccia fu il dirigente di Varese che senza troppi giri di parole parlò di cessioni necessarie, di cui una particolarmente dolorosa ma obbligata e inevitabile che portò all'addio di uno degli uomini scudetto, vale a dire quell'Achraf Hakimi che ha bagnato con un gran gol il suo debutto in campionato con il Psg.
Un addio alla fine digerito per il bene dell'Inter, che per respirare necessitava proprio di un'immissione di capitale che la proprietà volente o nolente non garantisce. 'Marotta sa quel che fa' si diceva, 'finché c'è Marotta siamo tranquilli' e così sia. Ed effettivamente a complicare la vita della dirigenza di Viale della Liberazione fu, fino ad un certo punto, soltanto l'inaspettato e imprevedibile sfiorato dramma che ha colpito Christian Eriksen. Ma anche in quel caso il colpo da maestro del duo Marotta e Ausilio ha tirato fuori dal cilindro un Calhanoglu fresco parametro zero. Europei, Copa America e un mercato che non decollava ma, con la buona pace di chi sperava di raccontare qualche trattativa in più dovendosi al contrario accontentare di qualche rescissione consensuale e trattative 'minori', né diesse né ad soffrivano particolarmente l'ansia da tempo tiranno sebbene esuberi e ragazzini da piazzare.
Ma la noia di un mercato 'da zero a zero' ha fatto presto a trasformarsi in putiferio. Un terremoto dalla forza proporzionale alla gioia per lo scudetto sollevato due mesi addietro e scatenato proprio da chi quello scudetto ha fatto in modo che venisse sollevato. The King of Milan is back, scriveva la sera del suo ritorno nel capoluogo lombardo. "Sono veramente contento di essere tornato, speriamo di continuare il percorso che abbiamo iniziato, di continuare a vincere. Noi giocatori lavoreremo forte per realizzare i vostri sogni" aveva detto ai microfoni di Inter Tv il 26 luglio, al termine del primo allenamento dopo le vacanze. Ma anche in questo caso c'erano cose che non si dicevano. Un non detto di troppo, direbbe qualcuno, ma a dirla tutta di troppo, nel caso di Lukaku, è quanto detto. "Qui per realizzare i vostri sogni". Vostri di chi?
Della proprietà? Di Zhang? Di Oaktree? Del Chelsea? Non dei tifosi. Non dei compagni. Neppure della dirigenza, ritrovatasi dall'oggi al domani a dover trovare un'alternativa al Big Rom dal quale era certa di ripartire. Non c'è parola che tenga, né trattenga. Lukaku non cambia idea: i campioni d'Europa chiamano e con essi anche la possibilità di prendersi una rivincita nel club che per ben due volte non aveva creduto in lui, di dimostrare quanto vale in un campionato che lo ha snobbato sin troppo facilmente, e ultima ma non meno importante la possibilità di competere per un club che non minaccia improvvisi ridimensionamenti o ribaltamenti progettuali che stravolgono gli equilibri e i sogni di gloria. Un'offerta da 12 mln + bonus da uno dei club più vincenti d'Europa nel campionato più ricco e prestigioso del mondo, all'alba dei trent'anni. Un'occasione difficile da rifiutare per chiunque. Lecito sotto molti punti di vista. Ed è peccato mortale non ammetterlo.
Eppure c'è un eppure. Lukaku sposa il Chelsea, ma la dirigenza - sulle prime attonita per la volontà del giocatore di andar via - rifiuta non una ma due offerte avanzate dai Blues. Non 100 milioni, né 110 più una contropartita tecnica bastano per fare vacillare Marotta e Ausilio, costretti però a sgretolare il loro muro di forza dinnanzi al famoso diktat 'ridurre i costi e ottenere ricavi dal mercato' ribadito da Nanchino. Presidente si rende conto? Qui viene giù il mondo. Ma il mondo è già venuto giù con una pandemia che ha tirato giù anche e soprattutto i profitti di Zhang in sol levante, dove gli effetti del Covid sono stati devastanti. Non c'è democrazia che tenga: due sì a fronte dell'unico no, sbloccano la trattativa e spalancano le porte di Viale della Liberazione e la strada verso Londra. Non c'è promessa che tenga, l'unica cessione big non resta tale e da uno, i pezzi da novanta in partenza diventano due, con un totale incassato di quasi 200 milioni di euro.
Cento ottantatré milioni di euro, una cifra monstre, che se fosse reinvestita in toto permetterebbe sogni di gloria veri e propri. Ma il diktat è chiaro e quell''ottenere ricavi dal mercato' oggi fa davvero tanta paura e la domanda più frequente è: quanti ne verranno reinvestiti? A rispondere dovrebbe essere Zhang, Laporta docet, ma a giudicare dagli animi e dagli striscioni la fiducia nel presidentino tanto simpatico ai nerazzurri fino a qualche mese fa è vacillata sino ad azzerarsi e quelle parole di inizi giugno secondo le quali "l'obiettivo per la prossima stagione è essere competitivi perché per un club come l'Inter competere a livello nazionale e internazionale è fondamentale" lasciano il tempo che trovano. Esattamente come baci su una maglia dismessa senza pensarci neanche troppo.
Perché a questo punto è evidente: baci e parole lasciano il tempo ma prendono i soldi che trovano. E quel tempo e quei soldi mai come oggi valgono 183 milioni di euro.
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