L'altro ieri è stato un martedì di fine luglio all'insegna della taumaturgia in casa Inter. A partire dall'alba del giorno della sfida con il Napoli illuminata da una locandina realizzata dal canale di Suning PPTV in cui il Dio del Calcio, Lionel Messi, compariva come una visione mistica sul Duomo di Milano. Anche dopo aver appurato l'estraneità alla vicenda di Jorge Messi, padre della stella del Barcellona che vuole prendere casa e bottega in uno dei quartieri più importanti del capoluogo lombardo, quello dove sorge la nuova sede nerazzurra, la fantasia dei tifosi non si è spenta. Di questi tempi, quando la fede nel presente vacilla guardando il numero degli scudetti della Juve aggiornato a 36 (il tricolore 38 esposto allo Stadium, ahinoi, non è opera di fantasia), è quasi scontato credere nel miracolo che possa cambiare il corso degli eventi futuri.
Essendo il calcio una religione, il sei volte Pallone d'Oro è l'unico profeta capace di trasformare le partite in vittorie con pochi e semplici tocchi del suo mancino. L'anti-Cristiano, senza scadere nella blasfemia, viene vissuto dall'Oriente all'Occidente come la risposta mediatica della Beneamata ai campioni d'Italia, nonché acerrimi rivali. Un tema oggi soprattutto legato a una dimensione illusoria che però si fonde indissolubilmente con la realtà di un campionato cannibalizzato da una sola squadra negli ultimi nove anni. Tanto da generare riflessioni anche oltreoceano, dove a livello sportivo sono più sensibili degli europei alle pari opportunità competitive (l'Nba ne è l'emblema): "l'attuale modello di calcio in Europa sembra sempre più insostenibile", è l'amara conclusione a cui è arrivato Sports Illustrated, la bibbia dello sport mondiale, nell'osservare la monopolizzazione dei tornei nazionali da parte di un'élite che rischia di azzerare l'imprevidibilità. Una situazione a cui si è arrivati per una serie di concause, prima fra tutte l'introduzione del Fair Play Finanziario. E fa specie che, a distanza di un decennio, Michel Platini, l'allora presidente Uefa che promosse questo sistema discusso, arrivi ad affermare che: "La Juve è programmata per vincere. Le vittorie portano vittorie, soldi e grandi giocatori: è un circolo". Una cruda verità spacciata come nuova da Le Roi, che nel corso degli anni ha generato mostri con nomi e cognomi che fanno rabbrividire i tifosi: settlement agreement, plusvalenze gonfiate, sponsorizzazioni poco trasparenti, multe e riduzioni della rosa, per citarne alcune. Parole nuove e altre scomparse dal vocabolario, come il mecenatismo delle ricche famiglie milanesi. Di fronte ai petroldollari, Silvio Berlusconi e Massimo Moratti hanno dovuto fare un passo indietro: il primo ora si diverte col giocattolino Monza, il secondo concede interviste in cui non gli costa nulla (per una volta ogni tanto) alimentare voci di fantamercato che rinverdiscono i tempi che furono, quando il vero Ronaldo l'ex patron lo comprava senza dover chiedere il permesso a terzi.
Suning ha capito presto l'antifona e, anziché provare a comprare il giocatore più forte del mondo, ha portato dalla sua parte un dirigente e un allenatore che hanno fatto la fortuna del club che ora vogliono imitare a superare. Il 'tocco' dell'impero di Nanchino magari non sarà immediatamente tangibile come una prodezza in campo della Pulce argentina, ma è la prima mossa per creare il famoso circolo di cui parla Platini (Antonio Conte tecnico, anche se rifiuta il ruolo di Re Mida, è il miglior modo per accelerare il processo di riduzione del gap dei più potenti). Senza prendere scorciatoie come si poteva fare negli anni '90-2000 o proponendo soluzioni acrobatiche alla De Laurentiis, che è tornato alla carica con i playoff scudetto per spezzare la sovranità assoluta della Vecchia Signora. Più che nel 'miracolo a Milano' in Piazza del Duomo, dove qualcuno spera che il 10 blaugrana si materializzi per togliere un po' di celebrità alla Madonnina, bisogna sperare in un cambiamento nel modello di business in via Rosellini 4, nella sede della Lega Serie A. In quegli uffici, i vertici del nostro calcio hanno la gigantesca responsabilità di scrivere in anticipo il prossimo decennio del football nostrano, a partire dalla gestione dei diritti tv. Lo sa bene anche Beppe Marotta, dirigente scafato nonché consigliere della Lega stessa: "Il nostro calcio ha bisogno di un rilancio, il relegamento nella quarta posizione nel ranking non gioca a nostro favore. Il dibattito nel nostro movimento riguarda le vendite dei diritti tv, ma bisogna valutare lo spettacolo. I campioni fanno lievitare il valore del brand e del calcio italiano. Se riuscissimo, come accadeva nel 2000, a far considerare il nostro campionato non di transizione ma ambito dai grandi campioni saremmo a buon punto, ma non è così".
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Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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