Forse comincio a capire perché Mancini sia un allenatore tanto sottovalutato. Amato da molti, detestato da altri, persino da numerosi interisti che lo etichettano esattamente al contrario, come un sopravvalutato. Un etichetta di pura pancia che, leggendo i numerosi giudizi su di lui, è antitetica alla realtà. L’opinione che si ha del suo lavoro corrisponde con le impressioni sull’Inter di quest’anno. Si parla apertamente di fortuna, gioco orrendo e allenatore naif, il quale vuole sorprendere a tutti i costi e a cui va tutto bene. Poco altro. 

Le considerazioni proseguono su elementi statistici e vicende del passato per capire meglio, ma praticamente nessuno si sforza di andare oltre. L’Inter andata in scena a Torino era, in molte componenti, quella dell’anno scorso. A partire dal modulo Mazzarri con la difesa a tre, per arrivare alla presenza simultanea di Handanovic, Juan Jesus, Nagatomo, D’Ambrosio, Medel, Icardi e Palacio. La maggioranza delle dotte opinioni sostiene che deve esserci una formazione e che non si può cambiare ogni settimana, pena la confusione e la mancanza di chiarezza con conseguenze disastrose sui risultati. Le partite con Roma e Torino hanno dimostrato che non è così. Un’altra certezza nemmeno scalfibile è che non si può cambiare modulo da una partita all’altra, perché rischi di confondere i giocatori e di perdere automatismi. Sbagliato anche questo. Si può e si riesce anche ad amministrare il gioco mantenendo la stessa efficacia. Ma non basta, non basta mai perché dal rumore dei nemici si è passati a quello degli esteti, cultori del bel gioco che da tre mesi rifilano anatemi verso il gioco arido.

Nessun riferimento alla crescita dell’organizzazione di gioco, ai meccanismi che funzionano meglio di partita in partita. Ho sentito persino l’incredibile accusa di catenaccio a un'Inter che ha un possesso palla sempre superiore rispetto agli avversari. Se avesse scelto di fare difesa e contropiede sarebbe stata una valutazione corretta ma il gioco dell’Inter è esattamente l’opposto. Magari ancora imbastito, lento, prevedibile ma non certo catenacciaro.

Il protagonista di Torino-Inter è stato Kondogbia, il quale ha potuto finalmente ricoprire un ruolo a lui più congeniale, sacrificando Felipe Melo in posizioni meno appariscenti a cui il brasiliano si è adattato per la causa. Non stravedo per Nagatomo ma sceglierlo per metterlo in contrapposizione a Bruno Peres è stata una mossa indovinata. Mancini ha degli esterni bravini ma nessuno che spicchi molto di più su altri. Telles, Santon, Nagatomo, D’Ambrosio e Juan Jesus sono impiegabili a seconda dell’avversario e questo è il primo motivo che rende la formazione dell’Inter suscettibile di variazioni ogni settimana. L’impiego di Palacio, a supporto di Icardi, è stata per me la vera sorpresa e tatticamente ha in parte funzionato. Meno nel secondo tempo quando i due argentini sono calati. Il Torino ha avuto due grandi occasioni con la traversa dell’ex Benassi e una doppia super parata di Handanovic su Quagliarella e Belotti. Le vere occasioni per i granata sono state in totale tre ed è una cifra accettabile considerando il tipo di avversario.

Soprattutto riconoscendo che l’Inter attualmente è forte ma non fortissima, solida ma non imbattibile. I giocatori in campo oggi per la maggior parte erano quelli del 2014/15 ma il valore aggiunto è che questa è finalmente una squadra e che tutti si sentono coinvolti nel progetto, complici le vittorie che permettono al tecnico di non avere traumi nelle scelte. A testimoniarlo ulteriormente i visi distesi dei giocatori in panchina a inizio partita. Comunque le analisi sull’Inter anche questa volta si sono infrante contro la consueta diffidenza per una formazione che ovunque è stata letta con sconcerto. L’ennesima vittoria per 1-0 salutata come il risultato di un pragmatismo estremo e una grande difesa. “Comunque”, conclude il giro di opinioni, “finchè vince va bene…”.

Solo questo.  
Mancini è un riformatore, trattato da eretico (uso un eufemismo), è un uomo inquieto, intelligente che ha provato a trovare strade diverse, ha commesso errori e ha riprovato senza percorrere per forza strade già battute. Ne ha costruite di nuove. Non lo so se siano sempre migliori delle altre ma è evidente la voglia di pensare fuori dagli schemi, di andare oltre la logica di un calcio che pensa di aver già detto tutto, gli crea intorno antipatia. Le vittorie creano consenso ma con i Mancini e i Mourinho ci sarà sempre il ditino alzato per obiettare. 
Gli interisti ci sono abituati e, in fondo, questo li fa sentire diversi dagli altri.
Amala

Sezione: Editoriale / Data: Lun 09 novembre 2015 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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