"Ti te dominet Milan" esponevano fieri i nerazzurri tra i gradoni del settore verde, dal terzo al primo anello, in quel lontano 6 maggio 2012, quando in campo l'Inter di Leonardo batteva il Milan di Allegri, consegnando di fatto lo scudetto alla Juventus di Antonio Conte. Altri tempi. E non certamente per il giro di panchine ad oggi clamorosamente invertito. Di sicuro migliori, malgrado quello fosse il primo dei nove campionati vinti dall'acerrima nemica e malgrado quello fosse il primo di una lunga serie di annate senza aggiornare il palmares nerazzurro, ancora oggi intatto da allora. Belli sì, belli davvero. Perché come recitava un vecchio detto "senza curve non c'è derby", figuriamoci senza pubblico. Ma tant'è e tanto sarà. Tamponi, test sierologici, positività e ansia di rose decimate. La vigilia della stracittadina più bella d'Italia è la più incolore di sempre. Incolore nel senso più letterale del termine, perché a San Siro, sabato pomeriggio - altra atipicità - non esisteranno colori al di fuori dal rettangolo verde. Sì, perché persino senza pubblico gli striscioni sono vietati e persino i fastidiosi sfottò finiranno per mancarci. A chi? A tutti. Come disse Johnny Palomba anni fa, un derby senza pubblico è "come un’amatriciana in bianco e vegetariana". Una metafora succulenta quanto azzeccata che trova il consenso di Bauscia e Casciavit all'alba della vigilia meno vigilia di sempre. 

Una settimana oggi (meno qualche ora), e quelli che solitamente sono i giorni più allegri e chicchierati dei bar del capoluogo lombardo, scoloriscono persino davanti ad un caffé in pausa pranzo. Theo Hernandez giura sbarramento ad Hakimi, e l'attesa di un'animata e curiosa replica nerazzurra viene sostituita dal refresh convulso delle app, alla ricerca di aggiornamenti sullo stato di salute dei giocatori. Ibra compreso che oggi dovrebbe tornare ad allenarsi dopo essere guarito dal Covid ed essere rientrato a Milanello nella giornata di ieri. Lo svedese ha spaccato il tempismo e salvo forze superiori sabato pomeriggio farà di tutto per dominare l'attacco rossonero, rivitalizzato alla sola notizia della presenza del numero 11. Tempismo che poco allieta i tifosi di casa (in casa sì, ma sul divano) che al contrario dovranno fare a meno dei vari Bastoni, Skriniar, Gagliardini, Nainggolan e Radu, fermati dal Covid. A piangere in casa nerazzurra è la difesa, orfana di Skriniar e soprattutto di Alessandro Bastoni, certo di poter finalmente giocare il suo primo derby (lo scorso anno, in panchina all'andata, infortunato al ritorno). Le carte da giocare per Conte non saranno comunque troppo poche e, Covid permettendo, non dovrebbero esserci grossissime preoccupazioni a differenza di quanto si creda. A mancare però, di questi tempi, sono le certezze, solide dinnanzi ai triplici tamponi: tris di negatività e si esulta meglio che al triplice fischio. Beh, per forza. D'altronde ad esultare al triplice fischio dell'anticipo del 17 saranno in pochi. Ad occhio e croce una quarantina, tra giocatori, staff tecnico e dirigenti per squadra. Nessun altro, quantomeno tra le mura del Meazza, dove a predominare sarà lo scenografico silenzio di un film già visto ma ancora non apprezzato. E mai sarà.

Eppure di tempo ne è passato, tanto peraltro. L'ultima volta che San Siro si è riempito di gente per una gara di Serie A, era il 9 febbraio 2020, e si giocava giustappunto Inter-Milan, durante il quale l'Inter ha recitato la solita sceneggiatura da donzella borderline che tanto indispettisce Conte. "Volevano vincere, volevano vincere..." intonavano in estasi i nerazzurri al triplice fischio, arrivato dopo il 4-2 siglato da Big Rom che tingeva di nerazzurro il manto della Madunina, a corredo di quel "Milano siamo noi" sbandierato ai quattro venti con fiero orgoglio, come da quattro anni a questa parte. Fiumi di nero e azzurro che scalpitava felice tutt'intorno, ai camioncini dei panini, in Piazzale Lotto con fast food annesso, su Viale Caprilli, sulle banchine della metro e a dirla tutta anche per le vie di Milano, meno fredde del solito ad onta persino della fastidiosa pioggerellina di febbraio. Uno spettacolo per cui è valso il prezzo del biglietto, e dell'influenza del giorno dopo. Un raffreddore da stadio, tipico per chi è abituato all'umidità penetrante della Milano nord-ovest che impone, un lunedì sì e un lunedì no, come minimo la voce rauca. Nulla di strano, né di preoccupante, ma lo strascico della soddisfacente sera precedente a base di salamella, caffé Borghetto, sambuchino tante, tantissime parole urlate all'avversario, lo stesso che l'indomani si continuerà a sfottere con tanto di Rosea sottobraccio. Eppure a leggerne la descrizione sembra quasi come rimembrare la Serie A in contemporanea delle 3: lontana anni luce e col sapore di ingiallito dal tempo, come le prime pagine incorniciate o ben conservate che a rifosgliarle è un tuffo al cuore.

Ma quella di domenica mattina sarà una prima senza cornice esattamente come il match del pomeriggio prima: una stracittadina dal gusto insipido e freddo come un pasto stentio dal giorno prima. Un piatto di amatriciana senza guanciale, né pecorino spolverato sopra e di sicuro senza salamella e birra né prima né dopo la gara. Un (in)sapore al quale abituarsi, che dura e durerà e che in assenza di buon senso e ragion comune difficilmente sopravviverà. Dopo otto mesi di navigazioni a vista, il campionato brancola di fatto ancora in penombra: tra schieramenti e fazioni per una o per l'altra corrente, che come tale, cambia di volta in volta conseguentemente al vento. E il derby si giocherà "se i club rispettano le regole in linea con quanto previsto dai protocolli". Se. Tanti, troppi ad una settimana dal giorno x. La settimana della vigilia meno vigilia di sempre, di un derby che ad oggi il meno rossonero e nerazzurro di sempre.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 11 ottobre 2020 alle 00:00
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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