Il destino sembrava giocare ai tifosi nerazzurri un altro incredibile scherzo a distanza di poco più di 365 giorni: una partita che più che una partita è stata un romanzo, come giustamente detto anche in telecronaca dopo l’ultimo triplice fischio di Luca Banti in carriera, un Empoli che a quindici minuti dalla fine agguanta un pareggio che vorrebbe dire salvezza per loro e inferno Europa League per l’Inter, e il ‘rischio’ che a ribaltare un destino clamorosamente avverso arrivasse lui, il cavaliere della garra charrua senza macchia e senza paura. Matias Vecino che prende palla, si invola verso l’area, e al minuto 80 e 47 secondo, lo stesso identico frame temporale nel quale, il 20 maggio 2018, impattò il pallone depositato poi alle spalle di Tomas Strakosha che valse ai nerazzurri la qualificazione in Champions all’Olimpico, scaglia un tiro inarrivabile per Bartłomiej Drągowski, portiere dell’Empoli discutibile coi piedi ma dimostratosi domenica capace di tuffi da fare impallidire Capitan America, un tiro che sembrava destinato a infilarsi sul palo opposto ma no, quel palo lo centra, segnale di una serata nata male e destinata, forse, a finire peggio.
Ma tempo per inveire contro la malasorte e gli del pallone che sembrano avere voltato le spalle beffardi all’Inter non c’è, perché per fortuna quella sfera non prende traiettorie maligne di sorta, ma anzi segue una linea retta, una linea che sembra disegnata dal destino. Che trova il suo capolinea tra i piedi di un giocatore, anzi, di quel giocatore che tra i tanti simboleggia al meglio quelli che sono stati i tormenti e le non lunghissime estasi di un’annata che si voleva diversa, come tanti volevano essere diversa la sua: la palla finisce sui piedi di Radja Nainggolan, che senza pensarci due volte la scaglia nuovamente verso la porta, e questa volta con una traiettoria talmente precisa da passare sibilante pochi centimetri alla destra del montante e gonfiare la rete. È il gol che vale tutto, che vale una stagione, che vale un altro anno nel palcoscenico dell’Europa dei grandi riacciuffato nuovamente per i capelli.
Ci voleva grande freddezza in quel momento particolare, una freddezza degna di un grande esecutore, ovvero, per dirla tutta, di un ninja, soprannome non a caso del belga; che con freddezza sembra quasi accogliere il gol, rimanendo quasi impassibile mentre tutt’intorno a lui era un’esplosione generale di sollievo prima ancora che di giubilo, per un incubo che in quel momento sembrava scacciato via senza purtroppo immaginare (o forse sì?) che finale era in serbo per il popolo di San Siro, tra le imprecazioni e i salti di Danilo D’Ambrosio e gli interventi da causa di canonizzazione di Samir Handanovic (ammettiamolo, in quell’istante ormai celebre tutti avremmo voluto essere Milan Skriniar per dirgli grazie). Radja, invece, non si lascia andare più di tanto, ed è una rarità visto che comunque lui non è uno di quelli che rimangono di ghiaccio a tutti i costi al momento di un gol. Ma forse, quel sorriso accennato, quella malcelata placidità, era forse il modo migliore per simboleggiare tante cose, in primis la scarica liberatoria intima di adrenalina, quella sì dirompente, che ha accompagnato quel momento. E non solo per il peso specifico della stagione dell’Inter.
Non è stata un’annata facile, la prima stagione nerazzurra di Radja Nainggolan. Lui arrivato a Milano dopo un lunghissimo inseguimento da parte in primis di Luciano Spalletti che lo ha posto come condizione necessaria e sufficiente del suo sistema di gioco per la stagione del ritorno in Champions, lui accolto da decine di tifosi festanti in un umido tardo pomeriggio di inizio estate, per il quale l’Inter ha deciso di immolare sull’altare delle plusvalenze Nicolò Zaniolo, oltre a Davide Santon, auspicando che le convinzioni del mister si potessero tradurre sul campo, dove finalmente l’Inter avrebbe trovato quel giocatore in grado di fare la differenza in mezzo al campo. Purtroppo, però, non è stata un’annata facile per lui. E sarebbe da stupidi negare che in tutto questo lui ci abbia messo non poco del suo, e non solo per il contorno delle sue abitudini extra-campo che però, detto francamente, può fare trasecolare solo finte verginelle e moralisti dell’ultima ora, visto che tutti sapevano bene o male cosa andasse a includere il pacchetto Radja una volta portato a casa, e forse la sua unica vera colpa in tal senso è di non essere un George Best in campo…
Radja, purtroppo, ci ha messo del suo più volte anche per altri motivi, vuoi per i ritardi negli allenamenti che va bene una volta, va bene forse due, ma alla fine diventano impossibili da tollerare e allora ecco scattare la punizione e l’assenza forzata nella gara contro il Napoli, vuoi anche per episodi spiacevoli come la diffusione di alcuni audio con dei toni non propriamente carini verso l’Inter e la tifoseria interista, roba fin troppo difficile da mandare giù per i suoi nuovi sostenitori che da quel momento hanno deciso di non perdonargli più niente, anche considerando il rendimento offerto in campo, quasi mai all’altezza della sua fama. E a poco pare servire l’alibi di una condizione fisica mai stata davvero ottimale, condizionata da quella che rappresenta forse la disgrazia peggiore che possa capitare ad un giocatore dalle sue caratteristiche: un infortunio in fase di preparazione precampionato, accusato in una stupida amichevole col Sion, che gli fa perdere subito contatto col resto del gruppo e rende difficoltoso l’allineamento, considerato che di stop fisici ne arrivano parecchi a stagione in corso, un calvario che si è perpetrato fino alla fase finale.
No, non è stato facile il primo anno milanese di Nainggolan, per tanti motivi. Si può anche azzardare l’ipotesi che il vero Radja sin qui all’Inter non si sia mai visto, condizionato da una preparazione diventata presto una vera corsa a ostacoli, di fronte alla quale lui ha provato anche più di una volta a stringere i denti ottenendo però più danni che altro, con alcune prestazioni anche imbarazzanti. Il tutto mentre, in riva al Tevere, si verificava il boom di Zaniolo, con conseguente martellamento mediatico sulla psiche (per non dire da altre parti) dei tifosi, ai quali si è cercato di instillare il concetto di scambio funesto, di talento perso, di flop clamoroso, il tutto in un gioco ai limiti del sadico. Ma quando il livello di forma è stato appena superiore all’accettabile, si è intravisto quanto sia alto il peso specifico di uno come lui. Ed è stato in alcuni momenti anche un bell’intravedere, più sporadico in principio (Eindhoven), decisamente più costante nelle battute finali del campionato, dove, anche grazie ad un cambio di regime in allenamento e nell’alimentazione, ha potuto comunque mettere il suo sigillo, segnando anche un gol pesante come quello alla Juventus che probabilmente si merita il titolo di gol dell’anno.
Fino all’apoteosi, a quel gol che, volenti o nolenti, vale all’Inter l’agognata Champions League e il conseguente ricco bottino, nel quale lui scherzosamente ha provato subito a buttarsi paventando una richiesta di aumento di ingaggio. Probabilmente, per un’ala nutrita del tifo, ciò non basterà a perdonargli un’annata comunque al di sotto delle aspettative, e di certo qui non si vuole cercare di evangelizzare nessuno e portarlo alla penitenza forzata. Ma anche se si vuol essere lungi dal definirlo ‘il mio amico Ninja’, come da titolo di uno dei tanti anime giapponesi che invasero le tv private negli anni ’80, è oggettivamente giusto, visto che alla fine l’incubo di un’annata con l’impegno al giovedì sera lo ha scacciato lui, rivolgergli perlomeno un grazie, e anche a denti stretti o balbettato come quando Fonzie di Happy Days doveva dire: “Ho sbagliato” va bene lo stesso. E aspettare la stagione che verrà auspicando che possa essere quella del riscatto (difficile, a meno di somme irrinunciabili, credere ad una cessione così prematura), magari in compagnia del suo amico e ‘fratello di procura’ Niccolò Barella che potrebbe ereditarne i segreti (in campo, per l’amor del cielo) e prenderne idealmente il testimone. Visto che comunque all’Inter c’è sempre da lottare, un ninja in più può far sempre comodo…
PS: La giornata di ieri è stata indubbiamente segnata dalla notizia della scomparsa di Marcello Spalletti, fratello del tecnico dell’Inter Luciano. Una notizia che funesta l’ambiente nerazzurro e calcistico, che mette in secondo piano tutte le voci sul destino del mister. Nel rinnovare il cordoglio della redazione di FcInterNews.it, è giusto rimarcare l’ammirazione per Spalletti per la tenacia e la dedizione verso il lavoro mostrate in quelli che sicuramente sono stati i giorni più difficili della sua vita. Umanamente, prima ancora che professionalmente.
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Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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