Inutile negare che il calcio inglese ha un fascino particolare. Grande azioni, sempre a cento allora, altro che ritmi da noia e sbadigli della nostra ‘Povera Serie A’ (usando liberamente il titolo di una grande canzone di Franco Battiato), partite tirate sino all’ultimo, tifo infuocato e pieno di Fair Play allo stesso tempo, con l’accesa tifoseria del Manchester City che si alza in piedi  ad applaudire la rovesciata sensazionale di Rooney, in uno dei derby più sentiti dell’Europa intera, lo scorso. Questi fattori, puramente spettacolari, sono quelli che mi colpiscono non appena assisto a un match di Premier, cose che fanno bene al calcio, cose che in Italia, non illudiamoci, saremmo fortunati se riuscissimo a vedere trapiantate nel nostro paese tra 100 anni. Troppe diatribe, troppo revisionismo, troppa voglia di ingraziarsi il popolino con programmi da propaganda elettorale. Si è perso il senso del calcio, quel concetto anglosassone, quello in cui il calcio stesso occupa solo novanta minuti della vita di ogni tifoso e non 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e 365 giorni all’anno.

Finita la piccola tangente (ogni tanto è bene ricordare però tutto quanto, così per rinfrescare la memoria) e il piccolo parallelismo italo-inglese, mi preme voler tessere le lodi di due squadre, seppur diverse tra di loro, che ammiro tanto, ovvero il Manchester United e l’Arsenal. Due mondi totalmente opposti sì, ma che stimo in egual misura per le più svariate ragioni. I primi hanno mostrato, per tutto il periodo di Sir Alex Ferguson, una continuità disarmante. Sono vincenti, autorevoli e autoritari, specchio perfetto dell’arzillo signore che siede in panchina, vicino alle settanta primavere. Lo United, secondo solo al Barcellona galattico, ha sempre fatto la sua grande figura in tutte queste stagioni, rimanendo sempre competitivo, nonostante si privasse dei pezzi migliori. E’ questa lo loro forza: rigenerarsi sempre e apparire sempre più forti. Dei Gunners invece premio e apprezzo il coraggio, il coraggio di aver raggiunto buoni risultati (per le vittorie manca sempre un tassello) con una squadra giovanissima, con ragazzi di talento. Un talento al quale però fa da contraltare l’inesperienza. Se c’è da trovare è stato proprio quello di non affiancare ai vari Fabregas, Nasri e Van Persie, gente esperta e scafata che avrebbe fatto sollevare loro qualche Barclays Premier League Trophy. 

Il mio desiderio sarebbe il seguente, ovvero vedere l’Inter pervasa dalle qualità di queste due big inglesi. Un progetto, quello nerazzurro, analogo e nella sua fase embrionale. Ovvero tenete uno zoccolo duro di uomini di carisma e valore (Eto’o, Lucio, Cambiasso, Maicon e Julio Cesar) sul quale possono poggiarsi i giovani talenti che l’Inter ha portato in Italia. Eto’o potrebbe essere la guida di Luc Castaignos e Ricky Alvarez, campioni in erba sui quali l’Inter ha puntato diretta senza ripensamenti, in attesa di testare Rodrigo Alborno, che arriverà tra meno di un mese, e in attesa della definitiva esplosione di Philippe Coutinho. Aspettando risvolti positivi per Banega e Casemiro (non appena si avvieranno le trattative), attesi dal professor Cambiasso, sono pronti al salto di qualità definitivo, in ambito europeo, Ranocchia e Pazzini, ‘giovane’ da questo punto di vista, quella dell’esperienza oltre i confini italiani. Insomma tutti elementi che potrebbero costituire quel mix vincente, prima sottolineato. Come il Manchester United che, dopo illustri addii (Ronaldo), anche l’Inter vuole replicare quanto fatto con Ibra nel 2009, anche quest’anno, magari andando a sacrificare il campione (Sneijder?), per rimpiazzarlo al meglio, con uno sguardo al futuro.

Il calcio inglese, con le sue big, mostra la via da seguire. Quello britannico, è proprio il modello da seguire.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 14 luglio 2011 alle 00:00
Autore: Alberto Casavecchia
vedi letture
Print