Forse, diciamolo piano e senza troppe esaltazioni, sta tornando il sereno in casa Inter. La convincente prova di Reggio Emilia contro il Sassuolo e il determinante successo in terra teutonica di martedì scorso contro il Borussia permettono a Conte e ai suoi uomini di sorridere. Ma non troppo.
In Serie A – e sembra quasi incredibile per le critiche subite dai nerazzurri – Handanovic e compagni sono secondi, dietro ad un Milan a cui si possono fare solo i complimenti. In Europa invece, dopo il peggior inizio della storia meneghina, il passaggio del turno è ancora alla portata della Beneamata.
Ma come non era tutto da buttare via solo 10 giorni fa – e per fortuna carta canta, basta rileggere i miei scorsi editoriali per capire a cosa mi riferissi – oggi non si può affermare che tutti i problemi siano superati. E l’Inter sia una squadra matura per poter vincere tutto.
È vero – come dice Conte – che i risultati spostano il giudizio. Ma è altrettanto vero che il mister salentino è pagato proprio per questo, per ottenerli. Vale per lui e per i suoi atleti. Ma vale pure per me. Per te che leggi questo articolo. Per il tuo lontano parente che vive all’estero. Ogni persona al mondo che svolge un determinato lavoro, viene retribuita per raggiungere specifici obiettivi.
Quindi per una volta si può generalizzare. Proprio perché è un destino che accomuna tutti. Poi chiaramente nel calcio professionistico – e soprattutto in top club internazionali – la pressione da dover sostenere è altissima. Ma questo è un altro discorso.
Torniamo a noi. E all’Inter. Ogni tifoso nerazzurro sa perfettamente che il catastrofismo cosmico che accompagna la Beneamata è una sfaccettatura storica che volente o nolente farà sempre parte del Biscione. Si deve essere bravi a differenziare critiche pertinenti, da desiderata di frustrazione che provengono dagli insuccessi del recente passato.
Vale quindi per la classifica, ma anche per i tesserati dei meneghini. Quando Conte afferma: “Prima viene l’Inter. Ogni mia scelta è per il bene della squadra” non ha ragione. Ma di più. Conta la squadra, non il singolo individuo. Su questo zero dubbi.
Ma sperare che un campione come Eriksen possa diventare determinante in questo team è una speranza – o quasi un dovere – di ogni amante del calcio. Se uno è forte, non può diventare brocco da un giorno all’altro.
Certo, ambientamento e funzionalità sono fondamentali. Ma siccome tutte le colpe non possono essere attribuite solo a Conte e al calcio italiano, che il buon Christian si rimbocchi le maniche e provi a prendersi l’Inter. Come Godin l’anno scorso. Che prima di essere ceduto solo per motivi di età e di bilancio, nella scorsa annata passò da esubero a leader e titolare di una difesa a tre in cui sicuramente inizialmente non era a suo agio. O Skriniar quest’anno, passato dal piano dei sacrificabili a rinnovato perno della retroguardia nerazzurra.
Finora non ha funzionato, va bene: per una serie di motivazioni che toccano più soggetti in gioco. E allora, siccome pocanzi ho utilizzato il termine campione, che Eriksen provi a dimostrare ancora una volta di esserlo. E che Conte – quando lo riterrà opportuno – gli dia la tanto agognata opportunità. Gli faccia sentire la fiducia di cui ha bisogno, ribadendo che le decisioni prese oggi, possono cambiare domani.
Per il bene del giocatore. Per quello suo e dei tifosi nerazzurri. Proprio perché perdere eventualmente uno così dopo solo un anno sarebbe la sconfitta di tutti. Dalla società, al danese.
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Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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