Dopo tre pareggi di fila in sette giorni, i due in campo con Napoli e Spezia più il famoso 0-0 in conferenza stampa, Antonio Conte – con il il 95% dello scudetto cucito sul petto - ha sentito il bisogno viscerale di fare doppietta tra panchina e tv rimettendo al centro dei discorsi la vittoria. La sua più dolce ossessione da quando ha messo piede nel calcio, prima da giocatore e poi da allenatore. Quella che lo aiuta ad allontanare quotidianamente 'la morte apparente' che gli provoca una sconfitta. Solo otto mesi fa, interrotto il lungo anno sabbatico, ha dovuto digerire due secondi posti consecutivi, un'onta sul nome di un serial winner che vive per evitare di essere il primo dei perdenti. La stagione da zeru tituli, la sua prima da quando cammina lungo la linea laterale del campo, è diventata lo stimolo massimo per dimostrare il suo valore nel contesto più ostile per farlo. "Penso di aver già detto che venire all'Inter è stata la scelta più difficile che potessi fare, sotto tutti i punti di vista, ma non sono una persona che vive di rendita e di comfort. Mi piace mettermi in discussione. Penso che l'Inter sia stata il non plus ultra del mettersi in gioco. Avevo e continuo ad avere tantissimo da perdere, ma ho la testa dura e vado avanti pronto ad abbattere anche i muri con la testa", aveva spiegato nel pre-partita di Inter-Cagliari.

Ora che il traguardo è sempre più vicino, Conte ha derogato al motto 'testa bassa e pedalare' alzando lo sguardo dal presente per rivolgerlo un attimo al futuro. Per scrutare l'orizzonte e capire quali sfide stimolanti gli potrebbe proporre la sua carriera sportiva. Cosa c'è dopo uno scudetto? Conte potrebbe rispondere: 'Altri scudetti'. Almeno due per eguagliare se stesso in bianconero o altri quattro per raggiungere il record di Max Allegri centrato a Torino e diventare il tecnico con più titoli di campione d'Italia della Serie A (8, davanti al suo mentore Giovanni Trapattoni). Discorsi troppo ambiziosi anche per uno che ha fame di successi come Conte che ultimamente, tra le righe, ha fatto capire di voler ottenere quella considerazione di cui godono in campo europeo i vari Ancelotti, Mourinho, Guardiola, Klopp e Simeone, per citare il gotha del calcio moderno. "So che il mio cognome è pesante, negli anni mi sono trovato a combattere soprattutto in Champions con squadre non attrezzate", ha puntualizzato l'allenatore leccese, mentre parlava della sua voglia di permanenza.

Sì, perché per capire il domani di Conte è bene guardare al passato. Nel suo curriculum vitae, con il tricolore 2020-21 già in tasca, il conteggio dice 5 titoli nazionali e zero coppe europee in sette stagioni alla guida di top club in cerca di rilancio, alias underdog di lusso. L'apogeo internazionale è il quarto di finale di Champions con la Juve nel 2013, a cui si aggiunge quello di Euro 2016 con la Nazionale italiana (in mezzo semifinale e finale di Europa League, quest'ultima raggiunta in un contesto particolare). Due risultati più o meno in linea con il valore di quegli organici, che si incastonano in un percorso non all'altezza della fama che precede il nome di Conte. Non c'è ammiratore o critico – come giustamente ribadito dal diretto interessato quattro giorni fa – che si sarebbe aspettato la conquista della Champions League in nessuna di queste esperienze, ma tra gloria e fallimento c'è un limbo in cui Antonio non può continuare a vivere per sempre. Basterebbe guadagnare la credibilità anche fuori dai confini nazionali per portarlo all'altezza dei nomi sopracitati, alcuni dei quali ha già battuto in Premier, la Super League dei manager. E' il prossimo obiettivo di Conte, non c'è dubbio, chissà se lo è anche dell'Inter. Per aprire un ciclo vincente serve la volontà di Suning perché quella di Conte, già esplicitata dopo il compromesso di Villa Bellini, è stata ribadita nelle scorse ore: "Partire sempre da zero e fare un lavoro a 2-3 anni per poi dover ripartire di nuovo da zero è stancante per un allenatore come me. Io nel lavoro sul campo e sulla testa dei ragazzi investo tanto, è ovvio che si spera sempre che il lavoro possa durare per tanto tempo. Io sarei contento di poter continuare il lavoro che sto facendo e magari finirlo, ma è ovvio che a bocce ferme tutti abbiamo bisogno di capire che cosa si può fare. Ma in maniera molto serena. Diventa difficile, poi, la comunicazione con i media perché poi tutto ricade sugli allenatori".

Insomma, Conte è stanco di essere Conte e ha voluto solo chiarire un punto, che poi è quello che ha determinato la fine delle sue relazioni sportive con Juve e Chelsea: non potendo smettere di essere leader in tempo di guerra, ora – per il credito che si è costruito - vuole scegliersi finalmente i suoi soldati. Vedremo se la storia si ripeterà anche a Milano o se Steven Zhang avrà in mano gli argomenti giusti per convincerlo a rispettare il contratto o, ancora meglio, andare oltre la naturale scadenza dello stesso. D'altronde, l'Inter – per Conte - è stata fin dal principio un'avventura eccezionale, al di fuori degli schemi duri a morire del tifo contro. Il finale non è scontato, esattamente come l'inizio di questa storia definita da molti impossibile. Quel che è certo è che a nessuna delle due parti conviene ripartire un'altra volta da zero. 

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 29 aprile 2021 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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