Non era una partita banale quella contro i veronesi, specie dopo una settimana di tensioni impreviste per la sconfitta contro il Dortmund e dalle conseguenze nefaste per la Champions.
Il Verona arrivato a Milano aveva la difesa meno battuta del Campionato e una patente di squadra fastidiosa, difficile da battere. Dopo le parole di Conte c’era curiosità per la reazione della squadra, anche per capire se avrebbero avuto l’effetto di sferzare o intossicare l’ambiente e, a giudicare dall’interpretazione della gara, la risposta è stata positiva.
Nel primo tempo l’Inter gioca prevalentemente nell’area avversaria macinando un calcio costruttivo ma pesante. Improvvisamente una giocata in profondità del Verona diventa un calcio di rigore per l’uscita di Handanovic che tocca Zaccagni leggermente, il tanto che basta per mettere d’accordo Valeri e il Var che il rigore c’è. La squadra di Juric va in vantaggio ma il gol ha poco a che vedere con i meriti di una squadra che si difende con ordine ma non merita lo 0-1.
L’Inter reagisce e va vicina al pareggio in almeno tre occasioni, pestando il piede sull’acceleratore ma restando prevedibile. Vecino, Brozovic e Barella la giocano lentamente e i gialloblu restano schiacciati nella propria area con un catenaccio che costringe l’Inter a tentare dalla distanza o fare qualche azione di sfondamento. Lukaku è il più efficace a metà del primo tempo ma anche Brozovic ci prova.L’occasione più clamorosa arriva nel finale del rimo tempo con un azione di Vecino che calcia in porta da posizione angolata, sorprendendo Silvestri, veloce quel tanto che basta a mettere la palla fuori dalla porta, quantomeno a non farla entrare per intero oltre la linea.
Nella ripresa  l’Inter gioca con rinnovata convinzione e la stessa intraprendenza, mentre il Verona arretra ulteriormente il baricentro e schiacciandosi a difesa della propria area, praticando un catenaccio d’altri tempi. La sensazione è che da un momento all’altro possa arrivare il gol ma c’è anche un’evidente frustrazione per l’evidente mancanza di precisione e talvolta lucidità negli assalti.
Conte toglie Biraghi e mette Candreva, la squadra si distende meglio e trova subito il gol con Vecino, bravo a mettere dentro di testa grazie al cross di Lazaro, bravo a coprire e proporsi anche questa sera, pur con qualche sbavatura.
L’Inter ci crede e va in modalità forcing ma gli errori aumentano, tanto quanto le le occasioni che culminano clamorosamente all’80° con Lukaku che non approfitta della singolare incertezza della difesa e soprattutto di Silvestri su una palla maldestra e altissima di Amrabat all’indietro. Il belga in velocità arriva prima sul pallone che basterebbe spingere di testa per beffare il portiere con il pallonetto, invece la colpisce debolmente e gliela consegna.
La partita sembra stregata, con un assedio in cui non sembrano bastare le munizioni, invece Barella dalla sinistra parte palla al piede e inventa un gol, grazie ad un destro da fuori area che deflagra San Siro e fa uscire i tifosi con un gran sorrisone dallo stadio.
Il primo posto temporaneo restituisce euforia ma non la serenità, quel tipo di quiete che Antonio Conte combatte, incompreso, con quel grado di veemenza che tanto ha disturbato l’ambiente già fortemente nervoso per la brutta pagina di Dortmund.
Non che l’allenatore voglia la polemica o uno stato di tensione perpetuo, piuttosto un club e un’atmosfera incentrata sempre e solo sul culto della vittoria, un’ossessione per la quale lui vive e che sta cercando, a volte disperatamente, di trasferire a tutti.
Ho sempre pensato che Conte sia un po' Mourinho ma senza lo stesso senso dell’umorismo, meno animato dall’egocentrismo, meno intrigante nelle risposte alla stampa, più votato ad un militaresco senso del collettivo, al principio del tormento verso il trionfo. Conte ha usato diverse volte nella stagione il dissenso pubblico verso la società, a partire dalla campagna acquisti in cui pensava di essere più avanti, passando per le rimostranze verso la campagna acquisti. L’agitazione nasce anche dal presupposto che in passato alla Juventus, per manifesta disapprovazione, si dimise a poche settimane dall’inizio del Campionato, lasciando la società in imbarazzo e difficoltà.
L’Inter non può permettersi un simile collasso all’inizio di un progetto ma la bontà delle intenzioni di Conte è inattaccabile. L’Inter non è mai stata angosciata dal risultato ad ogni costo, il grafico dei Campionati parla di un club che ruggisce e si addormenta, ruggisce di nuovo e si riaddormenta. Conte vuole solo che l’Inter si abitui solo ed esclusivamente a ringhiare, a non mollare mai la presa. Ci siamo abituati per troppi decenni a giustificare le prestazioni di squadre che erano più forti di quello che vedevamo ma entravano in campo senza troppi assilli.
Non era da Inter prima, non sarà più da Inter soprattutto da ora.
Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 10 novembre 2019 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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