Che Mario Balotelli tifi Milan non è una novità. L'ha confessato lui stesso in tempi non sospetti e non è l'unico professionista che esce allo scoperto in tal senso. Clamorosa è stata la recente rivelazione della fede juventina di Zdenek Zeman, come lo fu allo stesso modo quella di Roberto Mancini ai tempi della guerra fredda tra nerazzurri e bianconeri. Milanista da bambino era Nicola Berti, e fece un certo effetto anche quando uno come Filippo Inzaghi rammentò di tifare Inter da piccolo. Balotelli ha dato una mano al Milan soprattutto in questo lungo week-end di Pasqua: con il suo gesto, ennesima balotellata, si è parlato più di lui che non del ko interno di Allegri con la Fiorentina che rischia di far terminare la stagione al club di Berlusconi solo con la Supercoppa italiana di Pechino in bacheca.

Curiosità a parte, è scoppiato nuovamente il rincorrersi di voci attorno alla figura dell'attaccante italiano. Roberto Mancini l'ha detto chiaro: “Con il City ha chiuso per quest'anno e probabilmente sarà ceduto”. Apriti cielo. Raiola parla e dice che gli manca l'Italia; gli esperti di mercato riferiscono che il Milan è vigile, ma è l'Inter in netto vantaggio. Un ritorno a casa-madre di Mario – dicono – sarebbe cosa buona e giusta. Sì, ma per chi?

Come in ogni riflessione spinosa che si rispetti, critica e pubblico si spaccano. I fautori del ritorno in nerazzurro ne tessono le lodi tecniche, la squisitezza del tocco di palla, la qualità sui calci da fermo, la rarità del suo talento. Insomma, sotto il profilo sportivo nulla da eccepire. Eppure, come ci insegna la storia del gioco più bello del mondo, il calcio è affascinante soprattutto perché il risultato finale non lo fa la mera somma del valore dei singoli. Una squadra vincente si costruisce prima di tutto con alla base un progetto tecnico chiaro, cui vanno aggiunte le qualità individuali in funzione del gruppo. E poi, non di meno, c'è da valutare l'aspetto dello spogliatoio, che non è una roba astratta: coesione d'intenti, spirito di sacrificio, volontà di dare un qualcosa in più anche per il compagno in difficoltà. Tutti valori che nascono dall'uomo prima che dal calciatore.

Tutti valori che, ahimè, non ritroviamo in Mario Balotelli. Che sarà pure un bravo ragazzo nella vita di tutti i giorni (così ci raccontano), ma in fatto di gioco di squadra ha molto da imparare. Qui nessuno vuole dare lezioni, ma è il campo che parla. E parla chiarissimo. Perché se i tuoi compagni stanno sputando l'anima contro la squadra più forte di sempre, in una semifinale di Champions, e tu, appena entrato in campo, non vai nemmeno a pressare il tuo uomo, allora non sei tagliato per uno sport di squadra. Magari avresti fortuna nel tennis o nel golf. Non nel calcio.

E allora mi chiedo: per quale ragione l'Inter dovrebbe riprendere uno che finora ha fatto parlare di sé più per i colpi di testa che per i colpi in campo? Perché bisognerebbe concedere una nuova chance a lui, che in una delle notti storiche del club non ebbe di meglio da fare se non gettare a terra la maglia nerazzurra con disprezzo? In nome di cosa Moratti dovrebbe spendere tanti milioni di euro per un ragazzo che finora ha fallito spesso e volentieri? Io dico che uno così non lo vorrei nemmeno gratis.

Il calcio è uno sport di e per il gruppo, in cui tutto deve essere indirizzato alla vittoria della squadra. Il particolare in funzione del generale. Balotelli sarà anche un fuoriclasse a livello tecnico, ma diventa uno dei giocatori più scarsi e nocivi con i suoi comportamenti. E resterà così finché non capirà che quando scende in campo, lo fa con altri dieci ragazzi con la sua stessa divisa. Lui, invece, per ora gioca in esclusiva per il Balotelli Football Club, una società in cui non esistono clausole di rescissione e da cui è impossibile comprare. Nemmeno pagando oro.

 

Twitter @Alex_Cavasinni

Sezione: Editoriale / Data: Mar 10 aprile 2012 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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