Nuova puntata del podcast dell'Inter dedicato alle leggende nerazzurre, intitolato Inter alla of Fame - Tre partite, una leggenda: Dejan Stankovic, come si intuisce dal titolo dedicato al dragone serbo che ai canali ufficiali del club riavvolge il nastro dei ricordi, partendo da un particolare derby: "C’è un aneddoto della mattina prima di un derby. Avevamo provato i calci piazzati e Mancio mi dice: ‘ma non riesci a mettere neanche una palla’. Ecco, in quella partita ho fatto il cross per l’1-0 di Crespo. La seconda, lo stoppo, un’azione bellissima da sinistra con uno-due tocchi con Vieira e Maicon, facciamo 2-0 e vado lì a festeggiare con Mancini. È stato bello. Se fosse durata qualche minuto in più non so come sarebbe finita quella partita, ma è stato bello. Tre a uno, quattro a uno di Marco. Secondo giallo, eravamo un po’ in difficoltà negli ultimi minuti. Eravamo belli compatti, eravamo una bella squadra”.
Sul Gol da centrocampo contro il Genoa:
"Ho fatto un gol in Serbia in amichevole da metà campo. Non era la prima volta che provavo da metà campo. Gol pazzo, bellissimo. L’ho rivisto qualche giorno fa, davvero bello”.
Momenti belli, ma anche duri e difficili quelli all'Inter. Stagione 2007-2008 un calvario.
"Stagione più difficile. Non mi allenavo e non giocavo. Ad alti livelli non è semplice. Avevo una fascetta plantare che non sapevo come era venuta, né come andata via. Abbiamo fatto un sacco di cure, mille farmaci, punture… Poi alla fine abbiamo fatto una cura strana ed è andata via. Ho rotto pure i legamenti della caviglia perché camminavo storto, sono stato fuori un mese e passa. Un anno passato così, ma Roby ci credeva e mi metteva dentro. Io davo il massimo, ma ero al 60% e non potevo farci nulla ma io sudavo sempre la mia maglia, ero sempre onesto e davo tutto”.
Sulla partita con il Parma:
“Mi è toccato partire dall’inizio. Cambiasso si era fatto male, non ricordo chi era squalificato, io sono partito davanti alla difesa. Ti tocca. C’era Ibra in panchina… Un po’ di paura c’era: il Parma doveva salvarsi, il Catania contro la Roma che doveva salvarsi… All’Intervallo perdevamo lo scudetto, pioveva. Mi dicevo ‘no per favore’. Non è che mi torna quello scudetto della Juve con il Perugia? Ti prego no’. Alla fine entra lo zingaro di Ibra e la risolve in dieci minuti. E la palla per il primo gol gliel’ho data io, ma è lui ad essere stato talmente bravo…”
Sull’esultanza dopo la vittoria dello scudetto sul prato del Tardini:
“Ero sulle ginocchia davanti alla nostra Curva. Bellissimo. Uno dei tifosi mi ha dato una testata mentre festeggiavamo, sangue ovunque, ma è stato comunque bellissimo”.
Poi l’arrivo di Mou:
“Il nostro rapporto è stato chiarissimo. I giornali mi avevano già allontanato dall’Inter, mi avevano già scaricato. E poi il 16 di luglio arrivo in Pinetina, lui mi aspettava sulle scale e mi ha detto: ‘Vieni, ti sto aspettando” e io ho subito pensato: ‘Ecco qui, è il momento di fare le valigie. Adesso me lo comunica e arrivederci’. E invece niente, mi ha parlato chiarissimo. Mi ha detto che ero la sua scommessa e che mi voleva ai livelli della Lazio e altissimi: ‘So che sei amico di Mancio, anche io sono amico di tanti giocatori, ma nessuno dice che tra due mesi non potremo essere amici’. E così è stato. C’è stato un vero legame di sangue”.
Sul ricordo di Madrid:
“Molto emozionante. molto. Mi ricordo che già dalla panchina avevo la bocca secca per l’adrenalina. Mi ricordo che prima della premiazione non riuscivo a guardare la Coppa per le lacrime. Era un sogno diventato realtà per ognuno di noi. Per qualunque giocatore è un sogno vincere una Champions, in quello stadio… È stato indimenticabile. Grazie Presidente, grazie tanto”.
Sulla partita dopo l'infortunio:
“Prima di Bologna, il mio ritorno a San Siro contro il Chievo è stata come una gara d’addio. L’emozione che avevo, era come un debutto. Tornare dopo un anno, tutti in piedi ad applaudire. Lì è stato un vero saluto ai tifosi nerazzurri, io non sapevo che avrei smesso di giocare, è stata una scelta arrivata così quando abbiamo capito che l’infortunio era così importante. Per me, Dejan Stankovic, abituato a giocare a certi livelli, quando mi sono reso conto che quell’operazione e infortunio non mi permettevano di essere quel Dejan Stankovic stato fino a quel momento, ho deciso insieme alla società e il Presidente Moratti di fermarci e di chiudere in bellezza. Nessun rammarico o rimpianto”.
Sull’addio:
“Forse potevo dare di più, forse no. Forse potevo vincere qualcosa in più, forse no. Venticinque trofei sono tanti. Sono molto orgoglioso di dove ho giocato e come ho rappresentato e sudato le magliette. Non ero un fenomeno ma ero uno che rispettava la maglia, la società, la gente, tenevo al gruppo. Ero semplice e umile e cerco di crescere i miei figli così. Sono molto felice di aver fatto la carriere da Dejan Stankovic”.
Sul Gol da centrocampo contro il Genoa:
"Ho fatto un gol in Serbia in amichevole da metà campo. Non era la prima volta che provavo da metà campo. Gol pazzo, bellissimo. L’ho rivisto qualche giorno fa, davvero bello”.
Momenti belli, ma anche duri e difficili quelli all'Inter. Stagione 2007-2008 un calvario.
"Stagione più difficile. Non mi allenavo e non giocavo. Ad alti livelli non è semplice. Avevo una fascetta plantare che non sapevo come era venuta, né come andata via. Abbiamo fatto un sacco di cure, mille farmaci, punture… Poi alla fine abbiamo fatto una cura strana ed è andata via. Ho rotto pure i legamenti della caviglia perché camminavo storto, sono stato fuori un mese e passa. Un anno passato così, ma Roby ci credeva e mi metteva dentro. Io davo il massimo, ma ero al 60% e non potevo farci nulla ma io sudavo sempre la mia maglia, ero sempre onesto e davo tutto”.
Sulla partita con il Parma:
“Mi è toccato partire dall’inizio. Cambiasso si era fatto male, non ricordo chi era squalificato, io sono partito davanti alla difesa. Ti tocca. C’era Ibra in panchina… Un po’ di paura c’era: il Parma doveva salvarsi, il Catania contro la Roma che doveva salvarsi… All’Intervallo perdevamo lo scudetto, pioveva. Mi dicevo ‘no per favore’. Non è che mi torna quello scudetto della Juve con il Perugia? Ti prego no’. Alla fine entra lo zingaro di Ibra e la risolve in dieci minuti. E la palla per il primo gol gliel’ho data io, ma è lui ad essere stato talmente bravo…”
Sull’esultanza dopo la vittoria dello scudetto sul prato del Tardini:
“Ero sulle ginocchia davanti alla nostra Curva. Bellissimo. Uno dei tifosi mi ha dato una testata mentre festeggiavamo, sangue ovunque, ma è stato comunque bellissimo”.
Poi l’arrivo di Mou:
“Il nostro rapporto è stato chiarissimo. I giornali mi avevano già allontanato dall’Inter, mi avevano già scaricato. E poi il 16 di luglio arrivo in Pinetina, lui mi aspettava sulle scale e mi ha detto: ‘Vieni, ti sto aspettando” e io ho subito pensato: ‘Ecco qui, è il momento di fare le valigie. Adesso me lo comunica e arrivederci’. E invece niente, mi ha parlato chiarissimo. Mi ha detto che ero la sua scommessa e che mi voleva ai livelli della Lazio e altissimi: ‘So che sei amico di Mancio, anche io sono amico di tanti giocatori, ma nessuno dice che tra due mesi non potremo essere amici’. E così è stato. C’è stato un vero legame di sangue”.
Sul ricordo di Madrid:
“Molto emozionante. molto. Mi ricordo che già dalla panchina avevo la bocca secca per l’adrenalina. Mi ricordo che prima della premiazione non riuscivo a guardare la Coppa per le lacrime. Era un sogno diventato realtà per ognuno di noi. Per qualunque giocatore è un sogno vincere una Champions, in quello stadio… È stato indimenticabile. Grazie Presidente, grazie tanto”.
Sulla partita dopo l'infortunio:
“Prima di Bologna, il mio ritorno a San Siro contro il Chievo è stata come una gara d’addio. L’emozione che avevo, era come un debutto. Tornare dopo un anno, tutti in piedi ad applaudire. Lì è stato un vero saluto ai tifosi nerazzurri, io non sapevo che avrei smesso di giocare, è stata una scelta arrivata così quando abbiamo capito che l’infortunio era così importante. Per me, Dejan Stankovic, abituato a giocare a certi livelli, quando mi sono reso conto che quell’operazione e infortunio non mi permettevano di essere quel Dejan Stankovic stato fino a quel momento, ho deciso insieme alla società e il Presidente Moratti di fermarci e di chiudere in bellezza. Nessun rammarico o rimpianto”.
Sull’addio:
“Forse potevo dare di più, forse no. Forse potevo vincere qualcosa in più, forse no. Venticinque trofei sono tanti. Sono molto orgoglioso di dove ho giocato e come ho rappresentato e sudato le magliette. Non ero un fenomeno ma ero uno che rispettava la maglia, la società, la gente, tenevo al gruppo. Ero semplice e umile e cerco di crescere i miei figli così. Sono molto felice di aver fatto la carriere da Dejan Stankovic”.
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